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Come scegliere i buoni propositi per l’anno nuovo

come scegliere i buoni propositi

A fine anno viene spontaneo fare una sorta di bilancio della propria esistenza, stilando l’elenco dei buoni propositi per l’anno successivo. A volte però sei anche insoddisfatto di quello che sei riuscito a compiere finora. Per alcune persone, questo è un meccanismo che porta a porsi sfide sempre più ambiziose e a rimanere sempre più deluse. In questo articolo troverai qualche consiglio per rompere questo circolo vizioso (o evitare di entrarvi!) e imparare come scegliere i buoni propositi per l’anno nuovo.

come scegliere i buoni propositi

Sii preciso e realista

Ti meriti che i tuoi buoni propositi siano definiti, e non confusi. Dire “Voglio dimagrire” o “Voglio guadagnare di più” non ti aiuterà a raggiungere i tuoi obiettivi.

Gli amanti della razionalità dicono che bisogna essere precisi e dire “Voglio dimagrire tot kg entro giugno” o “Entro l’anno voglio chiedere l’aumento di tot euro”. Ed è vero! Se la nostra mente ha un obiettivo nitido, si attiva maggiormente per raggiungerlo. Però non è tutto così semplice: a volte c’è qualcosa di inconscio che sembra ostacolarci.

Essere realisti significa capire che dietro questi obiettivi generici si nascondono altri desideri più profondi: vorrei essere accettato, sentirmi più importante, sentirmi “normale”, risolvere un’altra situazione che mi causa insoddisfazione, …

Se ci pensi bene e ti accorgi che è il tuo caso, allora il tuo buon proposito più importante per l’anno nuovo potrebbe essere quello di cercare l’aiuto professionale di uno psicoterapeuta per comprendere e affrontare tali insicurezze e blocchi. Se non farai questo passo, correrai il rischio di perdere tempo concentrandoti su buoni propositi il cui raggiungimento non ti farà sentire davvero soddisfatto di te (sempre che tu li raggiunga! Perché il nostro inconscio è bravo a non farci raggiungere obiettivi che non sono risolutivi del reale problema).

Quando scegli i tuoi buoni propositi, rispettati!

Non pensare solo a dove vuoi arrivare: considera anche da dove stai partendo!

Spesso gli obiettivi che ci fissiamo richiedono molto più tempo di quello che immaginiamo. Questo perché per raggiungerli bisogna completare prima numerosi sotto-obiettivi che possono a prima vista sfuggire, ma che in realtà necessitano di mesi interi per essere realizzati.

Un esempio: se hai un grave sovrappeso e hai bisogno di perdere 30 kg, ma sei una persona molto sedentaria e soffri di binge eating, devi considerare che:

  • raggiungere il tuo obiettivo finale potrebbe essere un percorso che richiederà più anni (e probabilmente è bene che sia così, anche per favorire una stabilità del risultato ottenuto);
  • affronterai momenti difficili che ti potrebbero portare a ritornare rapidamente alle vecchie abitudini.

Quindi, nel quadro generale del progetto a lungo termine che etichetterai come “Voglio perdere 30 kg”, potrai inserire dei buoni propositi per l’anno nuovo che siano funzionali a questo progetto. Ad esempio: impegnarti a fare (inizialmente!) 45 minuti di attività fisica sostenuta per 3 volte alla settimana in modo costante nei mesi, e iniziare un percorso psicoterapeutico che ti aiuti a migliorare il rapporto con il cibo e ad affrontare anche i momenti difficili che incontrerai.

Per essere rispettoso di te stesso nello scegliere i buoni propositi per l’anno nuovo, hai bisogno di conoscerti a fondo ed essere onesto. Spogliarti metaforicamente di tutti gli orpelli, le sovrastrutture, la necessità di dimostrare di essere “di più”. Lascia che ti anticipi questo: non appena riuscirai ad accettare chi sei davvero, limiti e “difetti” inclusi, potrai finalmente crescere e diventare davvero molto di più.

Sii elastico riguardo ai buoni propositi passati che non ti sono stati utili

come scegliere i buoni propositi

Ora fermati e chiediti: perché questo buon proposito, su cui finora non ho fatto alcun progresso, è finito nella mia lista l’anno scorso?

A volte hai scelto dei buoni propositi perché dentro di te risuonava la voce di qualcun altro e hai fatto fatica a distinguerla dalla tua. Oppure semplicemente perché non sei stato realista, o perché hai seguito una moda che con te aveva poco a che fare.

Quest’anno fai una bella pulizia di tutti i buoni propositi che non provengono direttamente da te.

E se hai il sentore che qualcuno dei rimanenti non ti porterà da nessuna parte perché nasconde qualcosa di più profondo, cerca di capire che cosa sia (da solo o con un aiuto professionale). Così potrai modificarlo nel modo giusto e fare finalmente centro, quest’anno!

In breve: come scegliere i buoni propositi

come scegliere i buoni propositi

Ti meriti che i tuoi buoni propositi per l’anno nuovo siano ben definiti, realisti, rispettosi della tua persona e semplicemente tuoi.

Se riuscirai a sceglierli nel modo giusto, aumenterai le probabilità di realizzarli per davvero. Se avrai bisogno di un aiuto per farlo, sarò qui per te.

Nel frattempo, spero di averti dato degli spunti interessanti per capire come scegliere i tuoi buoni propositi.

Ti auguro buona fine e buon inizio!

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Il trauma

trauma

Cos’è un trauma?

Trauma deriva dal greco τραῦμα. Significa ferita.

In psicologia un trauma è un turbamento dello stato psichico, prodotto da un evento di notevole carica emotiva (cit. vocabolario Treccani).

Esistono due categorie di traumi:

  • Grandi traumi. Sono eventi trasversalmente riconosciuti come disturbanti. Sono caratterizzati da un’elevata percezione di pericolo. Ad esempio:
    • Eventi che ci espongono alla morte di una persona.
    • Eventi che ci espongono ad una minaccia per l’incolumità fisica nostra o altrui (ad esempio un incidente, violenze fisiche, guerra, pandemia, atti terroristici, disastri naturali come terremoto o tsunami…).
  • Piccoli traumi. Sono eventi che vengono soggettivamente vissuti come disturbanti. La percezione di pericolo non è particolarmente intensa. Parliamo ad esempio esperienze di umiliazione, la vergogna per una brutta figura, la percezione di essere abbandonati, la violenza psicologica, il bullismo, metodi educativi estremamente rigidi utilizzati dai genitori o da insegnanti …
Trauma

Gli esseri umani rispondono a queste due categorie con le medesime reazioni fisiologiche da stress.

Perché alcuni eventi traumatici ci segnano così tanto?

La mente dell’essere umano ha due tendenze contrapposte.

Da una parte tendiamo ad auto-risolvere ed integrare nella nostra esperienza psichica la maggior parte delle esperienze traumatiche (circa l’80%). Questo ci permette di poter “andare oltre” e continuare a vivere la nostra vita.

D’altra parte conserviamo un meccanismo per cui alcuni eventi traumatici rimangono “congelati” nella nostra memoria. Essi si ripresentano come ricordi traumatici accompagnati da disturbi specifici. Probabilmente questo meccanismo è rimasto perché evolutivamente utile. Ci ricorda infatti l’importanza di evitare in futuro situazioni rischiose come quella che ci ha provocato il trauma .

Perché soffro ancora per un trauma che un’altra persona ha già superato?

Trauma non elaborato

Non è strano che persone diverse metabolizzino in modo diverso il medesimo trauma. Il processo spontaneo può impiegare più o meno tempo. Il recupero può essere completo o parziale. I sintomi possono essere da lievi a molto invalidanti (come nel PTSD, Disturbo da Stress Post-Traumatico, o nell’instaurarsi di un funzionamento dissociativo).

Questo dipende da molti fattori:

  • Dal tipo di trauma.
  • Dall’esperienza di vita della singola persona e dalla sua personalità. Essi determinano infatti il “filtro” con cui ciascuno di noi vive gli eventi della vita.
  • Dal contesto socio-culturale in cui vive la persona.
  • Dall’aver ricevuto o meno un trattamento per il trauma subito.

Perché è importante il trattamento del ricordo traumatico?

È preferibile trattare il trauma precocemente. Si evitano così modifiche permanenti di alcune parti del cervello (in particolare amigdala e ippocampo). Questo renderebbe infatti più difficilmente reversibile la risoluzione completa di eventuali sintomi.

Trattare un trauma permette alla persona di:

  • Integrare l’esperienza traumatica nella propria vita intrapsichica.
  • Risolvere i sintomi legati al trauma.
  • Approfondire la conoscenza di se stessi e dei propri meccanismi interni.
  • Favorire la propria crescita personale.

Come trattare un trauma?

La migliore opzione per trattare un trauma è rivolgersi ad un professionista della salute mentale (medico o psicologo psicoterapeuta) regolarmente iscritto al proprio Albo Professionale.

La tecnica psicoterapica più efficace attualmente disponibile per trattare un trauma è l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing). A seconda del caso, il terapeuta può proporre di associare all’EMDR altre tecniche, come l’ipnosi, e/o una terapia farmacologica appropriata.

Hai bisogno di chiedermi qualcosa? Scrivimi qui sotto!

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EMDR: come funziona

EMDR: come funziona? Cosa sperimenta un paziente durante e alla fine del trattamento? Leggi questo articolo per scoprirlo!

Cos’è l’EMDR?

EMDR è un acronimo che sta per Eye Movement Desensitization and Reprocessing. Significa “desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari”.

È una tecnica terapeutica strutturata. Consiste nell’individuazione e nella rielaborazione dei ricordi traumatici responsabili dei disturbi psicologici del paziente. Questi ricordi sono “congelati” nella memoria del paziente.

Varie associazioni e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (2013) riconoscono ad oggi questo metodo (scoperto dall’americana Francine Shapiro nel 1987) come un trattamento efficace per elaborare i traumi e curare i disturbi ad essi correlati. Una grande quantità di ricerche scientifiche ne hanno validato l’efficacia.

EMDR come funziona

EMDR: come funziona?

Il percorso psicoterapeutico con la tecnica EMDR si sviluppa in più fasi:

  1. Lo psicoterapeuta raccoglie la storia del paziente con domande mirate e specifiche.
  2. Paziente e terapeuta individuano i traumi che hanno portato alla comparsa della sintomatologia.
  3. Il terapeuta desensibilizza i ricordi traumatici mediante una specifica procedura che comprende stimolazioni bilaterali alternate. In genere viene chiesto al paziente di seguire con gli occhi le dita del terapeuta, che si muovono da un estremo all’altro del suo campo visivo (ma esistono anche altri tipi di stimolazione bilaterale alternata). Questa procedura permette di “scongelare” il ricordo traumatico.
  4. Il ricordo viene quindi rielaborato in modo più adattivo mediante la riprogrammazione, attuata sempre tramite stimolazioni bilaterali alternate.
EMDR: effetti

Cosa succede al paziente durante l’EMDR?

Durante la stimolazione bilaterale alternata, il terapeuta chiede al paziente di mantenere l’attenzione sia sul ricordo traumatico, sia di osservare ciò che accade dentro di sé durante la stimolazione.

Il paziente inizia così a sperimentare una serie di sensazioni fisiche, emozioni, ricordi, percezioni, pensieri, insight concatenati gli uni agli altri.

Mentre il paziente vive questo processo, guidato dal terapeuta, la carica emotiva del ricordo diviene sempre meno disturbante e sempre più funzionale al benessere psicologico del paziente.

Alla fine dell’elaborazione, che può richiedere una o più sedute per ogni singolo ricordo traumatico, il paziente sente di aver finalmente “lasciato andare” il trauma.

Questo porta a sensazioni di sollievo, di calma, di tranquillità, di forza, di speranza, di nuova consapevolezza di se stesso.

L’elaborazione della serie di ricordi traumatici individuati dal paziente assieme al terapeuta porta il paziente a sperimentare man mano il cambiamento desiderato.

Per ulteriori informazioni, contattami!

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Il sonno dei bambini

sonno dei bambini

Come mai a volte sembra così difficile aiutare i nostri figli a trascorrere notti tranquille? Le cause possono essere molteplici. Intanto è utile capire le differenze tra il sonno dei bambini e quello degli adulti.

Differenze quantitative

In generale, i bambini necessitano di più ore di sonno rispetto agli adulti.

Esistono molte tabelle che riportano le ore di sonno necessarie per ogni fascia d’età, ma questi dati vanno sempre presi come indicazioni di massima. Per sapere se vostro figlio dorme abbastanza o no, guardate come sta di giorno: se è irritabile, agitato, stanco, allora potrebbe dormire troppo poco per il suo fabbisogno.

Mentre un adulto ha bisogno di dormire circa 8 ore (anche qui con una grande variabilità individuale: a qualcuno bastano 5 ore, altri necessitano di 10 ore), i bambini dormono indicativamente:

  • Neonati: ogni 2-3 ore durante tutta la giornata, per un totale di 14-16
  • A 6 mesi: 11-12 ore di notte + 3 ore di giorno (distribuiti in due o più pisolini)
  • A 12 mesi: 11-12 ore di notte + 2 ore di giorno (in 1 o 2 sonnellini)
  • Dai 3 anni: 10,5 ore di notte + 1,5 ore di giorno (1 pisolino)
  • Dai 4-5 anni: 9-10 ore di notte.

Differenze qualitative

Il sonno in generale si distingue in fasi di sonno

  • REM: questo sonno è caratterizzato all’EEG (elerttroencefalogramma) da un’attività cerebrale intensa, simile a quella dello stato di veglia. Durante il sonno REM vengono favoriti il consolidamento della memoria e degli apprendimenti, la regolazione dell’umore e della capacità di adattamento.
  • non-REM: caratterizzato da onde elettroencefalografiche lente, in cui vengono promossi il riposo, la crescita fisica, la riparazione tissutale, la regolazione ormonale e del sistema immunitario.

Quando dormiamo affrontiamo vari cicli di sonno (di durata e numero variabile, dipendenti da età ed esigenze individuali), ciascuno dei quali è composto da una fase di sonno REM e una di sonno NON-REM.

Sonno degli adulti

Negli adulti il ciclo di sonno comincia con la fase non-REM, la quale presenta 4 stadi di sonno progressivamente sempre più profondo. Segue una fase di sonno REM in cui l’intensa attività cerebrale viene bloccata e non agisce sui muscoli, eccetto che per i muscoli respiratori ed i muscoli oculari, che eludono anatomicamente questo blocco.

Durante una notte di sonno, l’adulto riesce generalmente ad agganciare un ciclo all’altro senza risvegliarsi (o comunque riaddormentandosi subito) e trascorre circa il 20% del tempo in fase REM, specialmente nella seconda parte della notte.

Sonno dei bambini

Il ciclo di sonno dei bambini inizia con il sonno REM (nel quale trascorrono buona parte del sonno, dal 50% alla nascita al 25% al terzo anno d’età) al quale segue un sonno non-REM che, a differenza dell’adulto, non è suddiviso in fasi.

Il sistema nervoso dei neonati è ancora immaturo e non è in grado di bloccare gli impulsi motori (per cui i bambini durante il sonno REM si muovono, parlano, fanno versi pur essendo ancora addormentati).

Inoltre i bambini (specialmente i neonati nei primi 3-4 mesi) fanno difficoltà ad agganciare un ciclo di sonno al successivo in caso di risvegli. Questa caratteristica è stata probabilmente favorita dalla selezione naturale: infatti i risvegli più frequenti permettono al neonato di percepire i propri bisogni (ad esempio la fame, sensazioni fisiche sgradevoli, il pannolino da cambiare, il bisogno di contatto) e di “chiamare” un adulto che li possa soddisfare.

Quindi i risvegli, specialmente nei bambini molto piccoli, sono di base fisiologici, e dovrebbero diventare sempre meno probabili con il trascorrere dei mesi. Il sonno però è un’area molto sensibile, che può essere disturbata per molteplici motivazioni.

Disturbi del sonno

Problemi associati a patologie mediche.

Il primo passo, quando si è davanti ad un disturbo del sonno duraturo e disturbante, è rivolgersi al pediatra per escludere cause di origine medica, tra le quali troviamo:

  • Sindrome delle apnee notturne: il bambino russa frequentemente (almeno tre volte alla settimana), ha un sonno agitato, fa spesso la pipì a letto, di giorno è iperattivo e irritabile, se è più grande può manifestare difficoltà scolastiche.
  • Reflusso gastro-esofageo: il bambino vomita spesso o ha rigurgiti eccessivi, se è già capace di parlare lamenta bruciore alla bocca dello stomaco.
  • Sindrome delle gambe senza riposo: di solito quando si manifesta in tenera età è ereditaria; se il bambino riesce ad esprimersi può riferire di sentire “animaletti” o “onde” sulle gambe; ha difficoltà a stare seduto o sdraiato; può essere iperattivo ed avere difficoltà scolastiche.

Parasonnie

  • Sonnambulismo: il bambino si muove nel sonno e si comporta come se fosse sveglio, ma non lo è. Non bisogna svegliarlo, ma parlargli in tono calmo ed assicurarsi che non si faccia male.
  • Pavor nocturnus: si manifesta specialmente nei bambini dai 20 mesi ed avviene nella prima parte della notte (perché accade nel sonno non-REM). Il bambino appare molto spaventato (può gridare o piangere), può avere gli occhi aperti o chiusi, ma è addormentato e non è consolabile. Cosa può fare l’adulto? Mantenere la calma, non provare a svegliare il bambino (l’episodio si auto-risolve nel giro di 20 minuti circa) ma al massimo rassicurarlo con la voce. In genere il pavor nocturnus è sporadico o si presenta per un periodo di tempo limitato, ma qualora dovesse continuare per più di un mese consultare il pediatra.
  • Incubi: generalmente i bambini cominciano ad avere gli incubi dai 30 mesi, specialmente nella seconda parte della notte (perché avvengono nel sonno REM). Gli incubi sono provocati da sensazioni fisiche (come l’urgenza di fare la pipì), ma possono anche essere correlate a stress (cambiamenti come l’arrivo di un fratellino, un trasloco, un lutto, …), paure (prestare attenzione a filtrare eventuali scene di violenza presenti nei contenuti multimediali a cui il bambino è esposto!). Cosa fare? L’adulto, mantenendo la calma, può rassicurare il bambino, che è sveglio e consolabile. Non è utile sminuire le paure o gli incubi del bambino (ad esempio con frasi come “Ma non devi avere paura dei mostri! Non esistono!”), bensì trovare un modo (anche “magico!”) per aiutare il bimbo a gestirle. Incubi ricorrenti potrebbero essere dovuti a problematiche emotive che il bambino non riesce a superare: in questo caso è indicato rivolgersi ad uno psicoterapeuta.

DISSONIE

  • Risvegli notturni frequenti (più di due per notte) e/o problematici (ovvero che richiedono un intervento anche consistente del genitore).
  • Problemi di addormentamento (il bambino ha bisogno di più di un’ora per addormentarsi o necessita di elementi fissi imprescindibili dall’addormentamento, come essere allattato oppure stare nel lettone).
  • Ipersonnia (dormire troppo) o insonnia (dormire troppo poco): dipendono dal temperamento del bambino (che può essere mite oppure vivace), dall’uso delle tecnologie, dai ritmi della giornata (orari, routine).
  • Assenza di ritmo circadiano: il bambino scambia il giorno con la notte. In genere il sonno si sincronizza con il ritmo giorno/notte verso i 3-4 mesi (quando il bambino comincia a produrre melatonina). Per favorire questa sincronizzazione è utile uscire di giorno (esponendo il bambino alla luce del sole), garantire un ambiente buio durante la notte (possibilmente anche durante allattamento e cambi pannolino!), avere una routine quotidiana stabile (ma flessibile!).

Possibili cause delle dissonnie

  • FISICI
    • Piccoli problemi fisici transitori: dentini, raffreddore…
    • Scatti di crescita: specialmente durante il primo anno di vita, periodicamente il bambino si sveglierà più frequentemente per 2-3 giorni consecutivi per mangiare di più (perché sta crescendo, ha bisogno di più cibo e quindi di stimolare la produzione di latte materno). 
    • Raggiungimento di importanti tappe di sviluppo fisico e cognitivo (circa ogni 3-4 mesi), che spesso comportano una regressione su altri piani (tra cui il sonno):
      • 4° mese: il bambino è più ricettivo agli stimoli esterni (vede meglio, sente meglio, …).
      • 6° mese: impara a stare seduto, inizia lo svezzamento, comincia la lallazione…inoltre il bambino ha maggior consapevolezza di essere un’entità diversa rispetto alla mamma: da qui deriva l’ansia da separazione.
      • 9° mese: gattonamento, acquisizione della posizione eretta…
      • 12 mesi: camminare, parlare…
      • 2-3 anni: il bambino comincia a dire “NO!” (periodo oppositivo) per affermare la propria identità come diversa dall’identità dei genitori. Al contempo dipende ancora dai genitori e desidera essere rassicurato della loro presenza e disponibilità.
  • AMBIENTALI: Caratteristiche della stanza in cui il bambino dorme (luce, buio, umidità dell’aria, caldo, freddo, comfort del lettino, rumori, presenza di apparecchi elettronici…).
  • COMPORTAMENTALI: Abitudini (ciuccio, biberon, seno…): il bambino è abituato a ricevere dal genitore l’aiuto per addormentarsi e lo richiede anche di notte, quando si risveglia per motivi fisiologici. Ma dal 3°-4° mese ha le potenzialità per imparare ad agganciare da solo i cicli di sonno e ad auto-consolarsi. Il genitore lo può aiutare, con calma, pazienza e metodi personalizzati, a raggiungere questa competenza, essendo consapevole del fatto che non è un processo lineare, tantomeno rapido! Diffidate dai metodi preconfezionati: possono risultare efficaci per alcuni bambini, ma non è la norma! Ogni situazione è a sé stante e bisogna adeguare il metodo al bambino, non viceversa: altrimenti si rischiano ripercussioni sul benessere psicologico del bambino.
  • RELAZIONALI: Questi fattori sono i più complessi da individuare e da trattare, ma se gli interventi sui fattori ambientali e comportamentali non funzionano, di solito è perché ci sono dei fattori relazionali sottostanti che complicano le dinamiche. In genere sono collegati a:
    • TEMPERAMENTO DEL BAMBINO: mite/vivace
    • TIPO DI LEGAME CHE HANNO I GENITORI E IL BAMBINO: attaccamento sicuro/insicuro
    • RELAZIONE TRA I GENITORI: conflittuale; separazione
    • STATO EMOTIVO DEI GENITORI: sconforto, rabbia, depressione (anche postpartum), frustrazione…
    • RAPPORTI SQUILIBRATI O CONFLITTUALI CON LE FAMIGLIE D’ORIGINE
    • PRESENZA DI FRATELLI per cui vengono provati sentimenti ambivalenti (affetto ma anche gelosia) di difficile gestione per il bambino
    • ESPERIENZE PROPRIE DEL BAMBINO, come
      • Precedenti esperienze negative per l’addormentamento con ad es metodi rigidi
      • Situazioni in cui i bambini percepiscono negli adulti incertezza o emozioni negative. In questi casi è meglio non fingere che vada tutto bene, ma discutere la situazione con tranquillità parlando apertamente delle emozioni in gioco e normalizzandole, rassicurando il bambino sull’affetto che si prova per lui.

CONSIGLI PER FAVORIRE IL BUON SONNO DEI BAMBINI

SINTONIZZARSI CON IL BAMBINO

  • Cogliere i suoi segnali di sonno per farlo dormire quando è il momento opportuno per lui (non forzarlo a stare sveglio)
  • Capire i significati dei vari tipi di pianto (che si differenziano dalla 3^-4^ settimana di vita) per intervenire in modo adeguato quando il bambino lo richiede.
  • NON INTERVENIRE SUBITO se il bambino si sveglia e fa qualche verso: osservarlo, vedere se si sveglia davvero o se è solo in fase REM. Se è sveglio ma tranquillo, aspettare un po’ per vedere se riesce ad agganciarsi al successivo ciclo di sonno. Se invece richiede la presenza del genitore, assecondarlo. Se il bambino non riesce a riaddormentarsi da solo, bisogna capire il perché e aiutarlo, nel tempo e con calma, ad imparare a farlo.
  • Attenzione ai metodi spacciati come universali e attenzione ai paragoni con gli altri bambini: ogni caso è a sé e bisogna sintonizzarsi con il singolo bambino!

OFFRIRE AL BAMBINO SICUREZZA

Si può influire sui ritmi del bambino con regolarità di orari e di attività che lo rassicurino e gli permettano di prevedere cosa viene dopo, ma senza rigidità e sempre accogliendo i suoi bisogni.

Se ci sono delle regressioni temporanee, accettarle con serenità e senza giudizio (il bambino può essere grande, ma è sempre al contempo piccolo!). Accogliere quindi il bisogno di rassicurazione che il bambino esprime attraverso la regressione, trovando una modalità congrua (ad esempio, se il bambino fa la pipì a letto non ritornare ad usare i pannolini ma fornire rassicurazione in altri modi durante la giornata).

RICHIEDERE UNA CONSULENZA SUL SONNO DEI BAMBINI

Dopo essere andati dal pediatra per escludere patologie mediche, è indicato fare una consulenza per inquadrare bene il problema (compresi gli aspetti relazionali) e trovare soluzioni fattibili e adeguate al vostro bambino e al vostro sistema familiare. Questo è indicato:

  • Quando ci sono problemi frequenti (più di tre volte a settimana) e duraturi (per più di un mese consecutivo).
  • Se siete preoccupati che il problema si cronicizzi.
  • A scopo preventivo durante la gravidanza o nei primissimi mesi di vita del bambino!

Richiedi qui la tua consulenza sul sonno dei bambini

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Dovrò partorire da sola causa COVID… e quindi?

partorire da sola

L’idea di partorire da sola a causa del COVID ti turba? Leggi questo articolo per guardare a questa esperienza con uno sguardo diverso e arrivare al parto il più preparata e tranquilla possibile.

Premessa: il titolo di questo articolo è volutamente provocatorio. È naturale e quasi scontato che ogni donna incinta vorrebbe vivere un bel parto senza complicanze e senza mascherine, poter disporre di un compagno affettuoso e tranquillo che la sostenga e che le permetta di stritolargli la mano durante le contrazioni e le spinte, avere a che fare solo con personale medico e ostetrico gentile, comprensivo ed empatico, poter ricevere le visite di amici e parenti nei momenti più opportuni…e così via.

È però necessario fare i conti con la realtà dei fatti: in tempo di pandemia da COVID-19, purtroppo, non avrai la certezza di essere accompagnata da una persona di tua scelta durante il parto.

Accesso dell’accompagnatore al parto

Al fine di limitare le possibilità di contagio, infatti, dall’inizio della pandemia le strutture sanitarie hanno vietato l’accesso ai visitatori. Ad oggi la situazione varia da struttura a struttura e da reparto a reparto. Non solo: le regole possono cambiare da una settimana all’altra, a seconda della situazione epidemiologica locale.

L’attuale orientamento dei reparti di maternità, dove possibile, è concedere l’accesso del padre (o di un accompagnatore del parto) nei momenti immediatamente precedenti e successivi al parto, previo recente risultato negativo di tampone.

La situazione ovviamente è diversa nel caso in cui la donna sia positiva al tampone per Sars-CoV-2: in questo caso è previsto l’isolamento (quindi non possono entrare accompagnatori al parto), ma, se le condizioni cliniche della madre lo consentono, sono comunque previsti il rooming-in (cioè il permanere del neonato nella stessa stanza della madre), lo skin-to-skin (il contatto pelle a pelle) e l’allattamento. Il tutto, ovviamente, con le dovute misure precauzionali anti-contagio (frequente igienizzazione delle mani e dell’ambiente, utilizzo di mascherina almeno chirurgica). Questo perché i rischi di un’infezione neonatale da Sars-2-CoV (che, con le misure preventive sopra menzionate, ha una probabilità molto bassa di essere trasmessa dalla madre) sono nettamente inferiori rispetto alle problematiche dello sviluppo che comporta l’assenza di contatto fisico con la madre.

Cosa dice la legge

Molte donne protestano dicendo “Ma avere il mio compagno accanto a me durante il parto è un mio diritto!”. Attualmente, la presenza di un accompagnatore al parto non è una legge (viene spesso citata a tal proposito la proposta di legge Zaccagnini, che però non è mai diventata legge, bensì è decaduta con la precedente legislatura). È invece una raccomandazione dell’OMS per favorire una maternità positiva.

A inizio pandemia, l’Istituto Superiore di Sanità ha fornito delle indicazioni per garantire, qualora possibile in sicurezza, la presenza di un accompagnatore durante parto (https://www.epicentro.iss.it/…/sars-cov-2-gravidanza…), in accordo con le raccomandazioni dell’OMS.

Nella realtà dei fatti però, al di là della raccomandazione, il tutto è lasciato nelle mani delle singole strutture, che in questo contesto di emergenza hanno ovviamente priorità diverse a seconda della situazione epidemiologica locale e delle risorse economiche disponibili.

Quindi, nonostante molte strutture si siano organizzate e si stiano organizzando per garantire la presenza di un accompagnatore durante il parto e nella degenza post-partum, al momento c’è ancora un’ampia variabilità da struttura a struttura e tra regime pubblico e privato (dove, va da sé, sono maggiori le risorse economiche per far fronte alla prevenzione di contagi con eventuali focolai intraospedalieri).

E tu, come ti senti al pensiero di partorire da sola?

Se sei incinta e pensi alla possibilità di dover partorire da sola, senza la presenza di una figura familiare, potresti provare diverse emozioni e sensazioni negative, come:

  • senso di ingiustizia
  • rabbia
  • sconforto
  • ansia
  • paura…

È normale provarle, viste le circostanze. Se però queste emozioni prendono il sopravvento e oscurano le tue giornate, vale la pena provare a considerare dei punti di vista differenti, che possano aiutarti a ritrovare il tuo equilibrio e affrontare il parto e il puerperio con serenità, nonostante le circostanze. Vediamoli insieme come scoprire il lato positivo di questa esperienza.

partorire da sola

Guarda anche il lato positivo

Un rapporto più stretto con il personale sanitario

È banale, ma anche medici ed ostetriche sono esseri umani. Questo vuol dire da una parte che le relazioni che il personale instaura con i pazienti saranno sicuramente influenzate dalle caratteristiche individuali (con conseguenti simpatie e antipatie, anche se è sempre auspicabile che il personale mantenga un atteggiamento professionale nei confronti dei pazienti). D’altra parte, però, significa anche che medici e ostetriche sono in grado di mettersi nei vostri panni, di comprendere quello che state passando e di tendervi una mano nel momento del bisogno.

partorire da sola

Meno interferenze

Per quanto sia gioioso ricevere subito le visite di amici e parenti, pensate che in fondo, i festeggiamenti (con le dovute precauzioni) saranno rimandati solo di qualche giorno.

Potrete così dedicare al vostro riposo le giornate immediatamente successive al parto. Dormire senza troppe interruzioni, riprendervi dalla fatica e/o da eventuali conseguenze fisiche del parto, prendervi il vostro tempo in un ambiente tranquillo per cominciare a conoscere il neonato, capire come prendervene cura nel modo migliore (senza troppe voci esterne a dare la propria opinione) e iniziare a instaurare quel legame unico e speciale che sarà una guida importante per il vostro rapporto lungo tutta la vita.

partorire da sola

Cosa puoi fare per prepararti?

Ecco cosa puoi fare per fronteggiare la paura di partorire da sola durante questa pandemia di COVID-19:

Informati

Chiedi informazioni precise alla struttura in cui hai deciso di partorire:

  • Come sono regolamentati gli accessi di un eventuale accompagnatore
  • Cosa succederebbe se tu o lui doveste avere un tampone positivo per Sars-2-CoV?
  • C’è la possibilità di avere un supporto psicologico durante il ricovero nel caso in cui scoprissi di essere positiva al tampone per Sars-2-CoV?

Lavora su te stessa

Questo è un buon momento per lavorare su te stessa e trovare le risorse necessarie. Per prepararti al parto durante la pandemia dovrai sviluppare:

Se senti di avere bisogno di un confronto su queste tematiche, contattami!

Fatti aiutare

Se non sei sicura di possedere queste risorse, prova a seguire un corso di preparazione al parto incentrato anche sulla preparazione psicologica della futura mamma. Impedirai così all’idea di partorire da sola di metterti in crisi!

Inoltre, se ti senti molto spaventata all’idea di affrontare il travaglio, il parto ed il postpartum da sola perché

ti consiglio caldamente di farti seguire da un professionista della salute mentale. Avrai così modo di trattare i tuoi disturbi, affrontare con maggior serenità questo periodo di cambiamento e prevenire problemi futuri che potrebbero ripercuotersi anche sulla vita di tuo figlio.

partorire da sola

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Prepararsi al parto con l’ipnosi: le esperienze

prepararsi al parto con l'ipnosi

Queste mamme hanno deciso di prepararsi al parto con l’ipnosi, raccontare la loro esperienza e condividere le loro riflessioni sull’utilità del percorso fatto. In sintesi: consigliano caldamente il Training Ipnotico al Parto!

SARA G.: grazie alla preparazione al parto con l’ipnosi ho partorito con serenità e senso di competenza

Ho conosciuto la dottoressa Delpin al settimo mese della mia prima gravidanza, in un momento di grande ansia per il parto ormai prossimo. Pur avendo seguito il corso preparto offerto dalla mia ASL e avendo letto diversi libri, molti erano i dubbi e le ansie relative al parto, perciò l’aiuto fornito dall’ipnoterapia si è dimostrato fondamentale.

Nelle sei sedute che ho effettuato ho trovato uno spazio dove fermarmi e ascoltarmi (cosa non così facile in un momento di tanto affaccendamento per la nascita ormai prossima), dove condividere i miei timori e le mie aspettative e, soprattutto, uno spazio dove acquisire tecniche che si sono rivelate preziosissime. Ritengo infatti che sia merito della Dottoressa Delpin se sono arrivata a vivere il travaglio con grande serenità e con una sensazione di competenza, scaturite dal lavoro svolto insieme e mirato ad avere fiducia nella mie capacità biologicamente innate. Le tecniche apprese mi hanno aiutata nell’impresa da me auspicata di partorire senza sentire il bisogno di ricorrere all’epidurale, nel pieno rispetto della fisiologia e con serenità. Mi sento quindi di consigliare a tutte le donne in dolce attesa e che desiderino un aiuto nella gestione della paura per il parto l’ipnosi con la dottoressa Delpin.

MICHELA: la tranquillità nonostante la fobia per gli aghi

Grazie al training ipnotico al parto sono riuscita ad affrontare il parto cesareo e la degenza consecutiva in tranquillità, nonostante la mia fobia per gli aghi e le procedure mediche.

PAOLA: un parto veloce

L’esperienza del training ipnotico al parto è stata piacevole, utile a prefigurarmi a cosa sarei andata incontro e a prepararmi bene. Non so se è del tutto merito del training ipnotico ma ho avuto un travaglio attivo e parto molto veloci e senza lacerazioni.

SARA: ho ricevuto i complimenti dell’ostetrica!

Scrivo con grande piacere una testimonianza del mio percorso svolto con la Dott.ssa Delpin per ringraziarla ma soprattutto per tutte coloro che devono prepararsi al grande evento del parto e che stanno valutando di prepararsi al parto con l’ipnosi con Anna Delpin. Grazie alla preparazione fatta (online) ho potuto affrontare il mio primo parto con una serenità che, oltre ad aver fatto andare tutto per il meglio, ha anche accelerato tutto lo svolgimento in quanto il mio corpo collaborava in sincronia con gli sforzi di venire al mondo del mio piccolo ed abbiamo ricevuto anche i “complimenti” da parte dell’ostetrica che ci ha seguiti.

Avrei potuto scegliere di fare la preparazione al parto con un professionista più vicino alla mia residenza e pertanto dal vivo, ma ho comunque preferito la dott.ssa Delpin (che mi aveva già aiutata in un momento di blocco nella scrittura della mia tesi di specialità) in quanto quello che la differenzia dagli altri, oltre alla professionalità in ambito psicoterapeutico, è la sua formazione in ambito medico: oltre a prepararmi con le induzioni ipnotiche è stata in grado di rispondere a tutte le mie domande e i dubbi più specifici legati al pre-parto, al parto e anche al post-parto. Se state pensando se ne valga la pena, per quella che è la mia esperienza dico che è quasi indispensabile!

GIULIA: preparandomi al parto con l’ipnosi sono riuscita a gestire paura e panico

Ho avuto un travaglio lungo e gestito praticamente da sola (con il solo aiuto di mio marito). È stata un’esperienza forte e non semplice ma sono riuscita a gestirla nel modo migliore, senza essere sopraffatta da paura e panico. Pensavo, durante la gravidanza, che non sarei stata in grado di fare tutto ciò. Invece, grazie alla preparazione fatta attraverso il training, ci sono riuscita.

FRANCESCA: ce l’ho fatta nonostante un cesareo d’urgenza

Cara Dottoressa,
a distanza di vari mesi dal mio parto volevo ringraziarla di cuore per il supporto che mi ha dato con il suo corso di training ipnotico al parto. Ricordo ancora il terrore e l’ansia di non farcela che avevo prima del parto. Grazie alla preparazione fatta insieme, ho potuto gestire al meglio le mie paure permettendomi di vivere con tranquillità le ultime settimane di gravidanza ed affrontare il parto con grande serenità. Questo percorso mi ha permesso di acquisire delle competenze che si sono dimostrate preziose durante il travaglio ma anche nei giorni successivi (avendo dovuto affrontare un cesareo d’urgenza).
Consiglio davvero a tutte le mamme in dolce attesa di fare questo percorso con la Dottoressa Anna Delpin che è una persona molto preparata e professionale, oltre che estremamente disponibile.
Grazie ancora Dottoressa, credo che senza di lei tutto sarebbe stato più difficile.

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Caffeina in gravidanza e allattamento: tutto quello che devi sapere!

Caffeina in gravidanza e allattamento

Tutta l’evidenza scientifica attualmente disponibile sull’uso di caffeina in gravidanza e allattamento riassunta in 5 punti cardine. Ecco tutto quello che devi sapere:

  1. La caffeina non si trova soltanto nel caffè, ma anche in numerosi altri prodotti alimentari, farmaceutici e cosmetici: soprattutto tè, cacao, bevande energetiche (ma non solo, anche in bevande analcoliche, barrette proteiche, integratori, cosmetici e farmaci!).

  2. Gli effetti della caffeina sul tuo organismo dipendono sia dalla tua sensibilità individuale a questa sostanza, sia dal suo livello nel sangue: in linea di massima, bassi livelli corrispondono a effetti positivi, mentre alti livelli portano a effetti negativi. La concentrazione di caffeina nel sangue è determinata dall’equilibrio fra la dose che assumi e la capacità del tuo organismo di metabolizzarla.

  3. Se sei in gravidanza, metabolizzi la caffeina molto più lentamente, quindi anche dosi relativamente basse possono causare alti livelli di concentrazione nel sangue e portare a effetti negativi. Inoltre, superando la barriera placentare, la caffeina arriva al feto (che non è in grado di metabolizzarla!) e ad alte dosi può rallentarne la crescita o anche aumentare il rischio di aborto spontaneo.

  4. Anche se ad un mese dal parto il tuo metabolismo della caffeina è ritornato normale, durante l’allattamento questa sostanza passa nel latte e può dare effetti negativi al tuo bambino (che nei primi sei mesi di vita la metabolizza ancora lentamente). Assumendo caffeina, il bambino può manifestare nervosismo, irrequietezza e disturbi del sonno.

  5. Cosa puoi fare per evitare problemi con la caffeina in gravidanza e allattamento?
    • Comprendi il tuo grado di sensibilità alla caffeina: quali effetti ti provoca? Sopra quale quantità e frequenza ti causa effetti negativi?
    • Impara a calcolare quanta caffeina assumi durante la giornata.
    • Non superare la quantità di caffeina che crea problemi a te o al tuo bambino, comunque tieniti sotto la dose di sicurezza raccomandata di 200 mg al giorno (l’equivalente di due tazzine di espresso).
Leggi tutto “Caffeina in gravidanza e allattamento: tutto quello che devi sapere!”

Prepararsi al parto durante la pandemia

prepararsi al parto durante la pandemia

Molte donne si stanno chiedendo quale sia il modo migliore per prepararsi al parto durante la pandemia. In questo articolo troverai alcune considerazioni utili per capire come orientarti.

Principali problemi delle donne incinte durante la pandemia

A causa della pandemia di COVID-19, i centri nascita si sono riorganizzati per rispettare le normative volte a prevenire l’aumento dei contagi. Questo ha portato a due principali conseguenze per le donne incinte.

  1. La sospensione dei corsi pre-parto in presenza, sostituiti da corsi online che forniscono alle donne incinte le informazioni essenziali. Con questa diversa modalità purtroppo è più difficile creare una rete di sostegno tra future mamme.
  2. La limitazione degli accessi ai centri nascita. Spesso le donne che partoriscono non possono avere un accompagnatore durante il parto. Non possono nemmeno ricevere le visite di amici e familiari nei giorni di ricovero post-partum.

Vengono perciò meno occasioni preziose di confronto e di sostegno. Rispetto a prima della pandemia, quindi, una donna incinta o una neomamma possono sperimentare più facilmente vissuti di solitudine ed isolamento.

Questo quadro, unito alle altre preoccupazioni che la pandemia e la gravidanza comportano, predispone le donne incinte e le neo-mamme all’insorgenza o aggravamento di sintomi ansiosi e depressivi. Le donne più vulnerabili in questo senso sono quelle che hanno già sperimentato dei disturbi psicologici in precedenza.

Purtroppo i disturbi ansiosi e depressivi non hanno solo conseguenze negative sulla salute della donna. Ne possono risentire anche la relazione tra la madre e il bambino e quindi, a cascata, la salute del nuovo nato.

Di conseguenza, è urgente lavorare sulla prevenzione.

Una soluzione per prepararsi adeguatamente al parto durante la pandemia

Al giorno d’oggi un corso pre-parto online non può limitarsi a fornire alla donna competenze teoriche sul travaglio, sul parto, sulla gestione del dolore.

Alla normale preoccupazione per il parto e la maternità si aggiungono le aggravanti date dall’emergenza sanitaria mondiale e dall’isolamento. È quindi essenziale prevedere anche un adeguato supporto psicologico professionale volto a prevenire e gestire l’insorgenza di disturbi ansiosi e depressivi. Questo è ancora più valido per prevenire la psicopatologia post-partum nelle donne più a rischio: coloro che hanno già sofferto di disagio psicologico in precedenza.

Per una donna incinta durante questa pandemia è infatti ancora più importante:

  • rafforzare il proprio senso di competenza, la sua autostima e la sua autonomia.
  • conoscere e capire cosa succederà durante travaglio e parto e nel post-partum
  • imparare tecniche di gestione del dolore
  • imparare a gestire l’ansia da gravidanza in questo contesto storico
  • avere il sostegno di una figura professionale in grado di individuare e modificare i fattori di rischio per l’insorgenza di psicopatologia, riconoscere l’eventuale manifestarsi di disturbi psicologici e indirizzare un eventuale trattamento tempestivo, adeguato ed efficace.

La chiave è quindi integrare una preparazione per il parto con l’attenzione alla sfera emotiva e affettiva della futura mamma. La mia proposta in tal senso è un percorso di preparazione mediante l’ipnosi: il Training Ipnotico al Parto.

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