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Ho paura del parto, aiuto! (Sarò mica tocofobica?)

paura del parto

Nel mondo occidentale una donna incinta su cinque ha paura del parto. Ma questa paura non colpisce solo le donne in stato interessante: si stima che a livello mondiale il 14% delle donne in età fertile abbia paura di partorire.

La paura del parto è un disturbo di tipo ansioso. Si può presentare con diversi livelli di severità, dal grado più lieve ad una forma grave e invalidante: la tocofobia (dal greco: tokos= parto + fobos = paura).

La paura del parto può essere:

  • primaria: può manifestarsi anche prima di rimanere incinta, fin dall’età adolescenziale.
  • secondaria: è conseguente a precedenti esperienze ostetriche traumatiche oppure alla depressione in gravidanza.
paura del parto

Perché insorge la paura del parto?

Fattori predisponenti

Ci sono dei fattori che possono predisporti alla paura del parto. In particolare possono essere fattori:

  • biologici, come la giovane età e avere una ridotta tolleranza al dolore.
  • psicologici, come essere una persona ansiosa, avere una bassa autostima, essere poco assertiva, soffrire di disturbi psichiatrici non correlati alla gravidanza, soffrire di depressione o altri problemi psicologici insorti in gravidanza, aver avuto esperienza di abuso sessuale o problemi sessuali, non avere adeguate conoscenze sulla gravidanza e sul parto.
  • ambientali: subire molto stress quotidianamente durante la gravidanza.
  • socio-relazionali: non avere supporto sociale, non avere un lavoro, avere un rapporto di coppia insoddisfacente, non convivere con il padre del bambino.

Cosa c’è dietro alla paura del parto

Gli studi hanno rilevato che la paura del parto ha origine multifattoriale. In particolare, le seguenti motivazioni sono alla base dell’insorgenza di questa paura:

  • Fobia del dolore e la convinzione di avere una bassa tolleranza alla sofferenza.
  • Paura che si riattivino eventi traumatici del passato (abusi, abbandoni).
  • Precedenti esperienze ostetriche negative che sono risultate traumatiche: parto traumatico (anche se può essere considerato normale dal punto di vista ostetrico), aborto spontaneo, morte fetale, interruzione volontaria di gravidanza.
  • Paura di essere incapace di dare la vita.
  • Il futuro padre del nascituro manifesta ansie e preoccupazioni.
  • Fobia di diventare madre.
  • Trasmissione familiare, anche attraverso le generazioni, del messaggio che il parto è un evento pericoloso, da temere.
  • Paura di vivere momenti di panico o perdita di controllo durante il parto.

Conseguenze della paura del parto

Le conseguenze della paura del parto si possono suddividere a seconda del momento temporale in cui avvengono.

Prima del parto

Le donne che hanno paura del parto tendono ad usare meticolosamente metodi anticoncezionali per evitare di rimanere incinta (anche se sentono il desiderio di avere un figlio). Alcune si sottopongono alla legatura delle tube o richiedono al partner di sottoporsi a vasectomia.

Nel caso in cui rimangano incinte, alcune donne affette da severa tocofobia hanno un disagio interiore talmente forte da scegliere di interrompere volontariamente la gravidanza al fine di evitare il parto.

Altre donne con paura del parto richiedono al ginecologo di programmare un taglio cesareo elettivo, anche se non ci sono indicazioni mediche. La possibilità di fare questa scelta è un argomento ancora controverso e dibattuto. Quando una donna presenta al ginecologo questa richiesta, deve essere ben informata sui benefici ed i rischi del parto cesareo elettivo. Rispetto al parto fisiologico, il cesareo d’elezione comporta, oltre ad una degenza ospedaliera più lunga, una aumentata incidenza di complicanze materne a breve termine, in particolare emorragie, isterectomia peripartum ed arresto cardiaco.

Durante il parto

Durante il parto, le donne con tocofobia presentano più alti livelli di ansia.

L’ansia aumenta la produzione di cortisolo, che devia la circolazione sanguigna dall’utero, accentua i dolori e riduce la produzione di ossitocina. Questa è essenziale nell’avviare e mantenere il travaglio, quindi il travaglio nella donna in preda alla paura può rallentare o addirittura interrompersi.

L’ansia nella donna può poi comportare ridotto apporto di ossigeno e nutrienti attraverso la placenta.

La madre che ha una grande sofferenza emotiva durante il parto tende inoltre a comportarsi in modo difensivo e/o aggressivo, invece che collaborativo. Questo ostacola il suo essere attiva nell’accompagnare alla nascita il bambino.

Infine, se alla madre vengono somministrati durante il travaglio farmaci per alleviare i sintomi ansiosi, questi possono influenzare anche il neonato.

Dopo il parto

L’ansia materna può causare un incremento dell’irritabilità e irrequietezza del bambino subito dopo la nascita.
Inoltre è correlata a ritardo nello sviluppo mentale e motorio a 8 mesi.
Vi sono infine evidenze che l’ansia materna renda il bambino più sensibile e vulnerabile all’ansia e ai disturbi depressivi in infanzia ed età adulta.

paura del parto

Soffri di tocofobia?

Di seguito troverai un elenco di situazioni che accomunano le donne che soffrono di tocofobia. Tuttavia, questo elenco ha esclusivamente uno scopo orientativo e non sostituisce una diagnosi fatta da un professionista della salute mentale.

Potresti soffrire di tocofobia se…

  • Fai incubi sul parto.
  • Ti lamenti molto dei disagi fisici della gravidanza.
  • Hai difficoltà di concentrazione sul lavoro o nelle attività domestiche.
  • Hai paura del dolore, delle ferite ostetriche, del taglio cesareo d’emergenza, dell’incompetenza dello staff, di morire durante il parto, di dare alla luce un bambino con problemi fisici o con una malformazione congenita.
  • Credi fermamente che il parto fisiologico sarebbe estremamente doloroso e sicuramente traumatico, ed eviti accuratamente di rimanere incinta (anche se lo desidereresti molto). Oppure, se sei già in dolce attesa, vorresti sottoporti ad una interruzione volontaria di gravidanza o ad un taglio cesareo programmato per evitare di partorire in modo fisiologico.
  • Hai paura che la gravidanza o il parto riattivino delle precedenti esperienze traumatiche (un abuso o un parto traumatico).

Cosa posso fare se ho paura del parto?

Innanzitutto rivolgiti ad un professionista della salute mentale (psicologo, psichiatra, psicoterapeuta) che possa aiutarti ad inquadrare la tua paura e fare eventualmente una diagnosi puntuale.
In seguito alla diagnosi, potresti ricadere in una delle seguenti situazioni.

Ho una lieve o moderata paura del parto

Sappi che sei in grado di fronteggiare autonomamente le tue ansie e le tue paure.
Come? Cercando informazioni, trovando sostegno all’interno della tua rete sociale o rivolgendoti al tuo medico di fiducia.
È importante che parli dei tuoi sentimenti (anche se non sei abituata o se pensi che non sia nel tuo carattere farlo) e che aumenti le tue conoscenze sulla gravidanza e sul parto. Per fare questo, la preparazione al parto è una fonte preziosa di aiuto.

Qualora, nonostante tutto questo, la tua situazione dovesse non migliorare, rivolgiti ad uno psicoterapeuta per ottenere l’aiuto di cui hai bisogno.

Soffro di tocofobia

Se la paura del parto è particolarmente invalidante, ti sarà utile rivolgerti al più presto ad uno psicoterapeuta per lavorare su più livelli:

Elaborare eventuali traumi pregressi: una tecnica utile a questo scopo è l’EMDR, che consente di elaborare i traumi in tempi rapidi.
– Trattare una eventuale depressione con psicoterapia ed eventuale terapia farmacologica.
– Fare un percorso di counseling per scegliere quale è per te il miglior modo per partorire.
– Fare una preparazione al parto mirata e personalizzata, che ti consenta non solo di acquisire tecniche di rilassamento e gestione del dolore, ma anche di raccogliere informazioni su come sarà il parto e acquisire competenze per affrontarlo al meglio in tutte le sue sfaccettature.

guarire dalla paura del parto

FONTI

Saisto T, Halmesmäki E. Fear of childbirth: a neglected dilemmaActa Obstet Gynecol Scand. 2003;82(3):201‐208.

Grussu P., Bramante A. Manuale di psicopatologia perinatale. Erickson ed.; pagg. 205-237

https://www.epicentro.iss.it/materno/LineeGuideCesareo2012

https://www.epicentro.iss.it/materno/pdf/LG_cesareo_comunicazione.pdf

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Migliorare la tua autostima: i 5 step fondamentali

Il parto traumatico

Migliorare la tua autostima: i 5 step fondamentali

Avere una buona opinione di se stessi è importante per proteggere il benessere psicologico. Per questo è utile che tu sappia come migliorare la tua autostima.

L’autostima è, come dice la parola stessa, una “stima di noi stessi”, ovvero una valutazione di quelle che noi crediamo essere le nostre caratteristiche e capacità personali. È importante quindi notare che l’autostima è un giudizio di valore (positivo o negativo) che si basa su qualcosa di soggettivo (cioè su come ci percepiamo) e che ha un influsso emotivo su noi stessi.

Per semplificare, è come se ci guardassimo riflessi ad uno specchio e dicessimo, sulla base di quello che vediamo (non solo dal punto di vista estetico, ma globale): “Vado bene/Non vado bene”.

autostima è un giudizio su ciò che vediamo guardandoci metaforicamente allo specchio

Diamo questo giudizio sulla base della nostra tendenza a conformarci a dei canoni: tendiamo quindi a fare un paragone tra ciò che vediamo allo specchio e ciò che vorremmo vedere, ma non solo! Compariamo la nostra immagine riflessa anche con ciò che, secondo noi, dovremmo vedere.

Perché bisognerebbe migliorare una bassa autostima?

I problemi dell’autostima insorgono nel momento in cui ci diamo un giudizio negativo perché c’è una discrepanza tra come noi ci percepiamo e chi vogliamo essere e/o sentiamo di dover essere. Quanto maggiore è questa discrepanza, tanto più bassa sarà l’autostima.

Se soffri di bassa autostima, puoi ritrovarti in una o più delle seguenti frasi:

  • non ti apprezzi;
  • hai la tendenza ad auto-sabotarti;
  • sei più vulnerabile alle malattie psichiatriche (disturbo depressivo maggiore, episodi maniacali o ipomaniacali, distimia, disordini dissociativi, anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbi di personalità borderline, narcisistico ed evitante);
  • adotti comportamenti che comportano problemi sociali (ad esempio comportamenti violenti);
  • adotti comportamenti che mettono a rischio la tua salute e la tua vita (ad esempio gesti impulsivi oppure abuso di sostanze stupefacenti).

Queste condizioni portano a grande sofferenza psicologica e spesso anche a problemi di natura relazionale, legale, di salute. Ecco perché ti conviene migliorare la tua autostima. Nessuno potrà prometterti che sarà facile o veloce, ma è sicuramente possibile.

Come migliorare la tua autostima

Avere una buona autostima è un meccanismo di difesa che promuove il benessere proteggendo l’equilibrio interiore da fattori stressanti e negativi.

Un’autostima positiva infatti è associata al benessere mentale, alla capacità di adattarsi, alla felicità, al successo, alla soddisfazione e alla capacità di riprendersi in seguito a seri problemi di salute.

Avere una buona autostima vuol dire avere dentro di sé una base stabile che ci consente di vivere in modo il più possibile continuativo sentimenti ed emozioni quali:

  • senso di sicurezza;
  • dignità;
  • tranquillità;
  • soddisfazione;
  • entusiasmo;
  • appagamento.

Arrivare ad un’auto-valutazione globalmente positiva su se stessi si può. Bisogna innanzitutto volerlo. E poi bisogna lavorarci, da soli o guidati da uno psicoterapeuta.

Ecco i cinque step fondamentali per migliorare la tua autostima.

1. Assumi il controllo

La tua autostima non potrà mai migliorare se non percepisci di avere il controllo della tua vita.

Questo significa che devi diventare il primo promotore della tua stessa autonomia. Sei tu che decidi cosa è meglio per te, sei tu che hai la capacità di regolarti da solo.

Certo, questo comporta delle responsabilità, e le responsabilità possono spaventare. Ma non delegare a nessuno questi importantissimi compiti. Se seguirai i punti successivi, sarà impossibile sbagliare, e la tua autostima ne trarrà giovamento.

2. Smettila di paragonarti agli altri

Il continuo paragone e confronto con gli altri ha, nella nostra evoluzione personale, un importante ruolo: riconoscendo le somiglianze e le differenze rispetto agli altri, noi ci facciamo un’idea sempre più precisa di noi stessi. La deduzione importantissima che ne consegue è che tu sei unico. E questo non apporta di per sé un valore positivo o negativo. È un dato di fatto.

Capisci quindi che è pericoloso basare la tua autostima sull’essere migliore di qualcuno in qualcosa (ovvero sul risultato, sulla performance)? Perché se è vero che a volte ci possiamo sforzare per fare alcune migliorie, altre volte non possiamo farci nulla! Quindi cederesti il controllo della tua vita ad un fattore esterno.

E se i risultati non arrivano, la tua autostima che fine fa?

Ma poi, quante energie e tempo sprechi nel tentativo di raggiungere un risultato che innalzi (magari temporaneamente) la tua autostima? Energie che sarebbero meglio direzionate nell’attuare i seguenti step per costruirti una solida, buona autostima non basata sulla performance.

3. Distogli l’attenzione dallo specchio e portala dentro di te

Lo specchio che riflette la nostra immagine è composto dalle risposte degli altri alla nostra presenza e ai nostri comportamenti: il ruolo principale lo detengono i genitori (o chi si è preso cura di noi durante l’infanzia), seguiti a ruota dai parenti stretti, dalle altre persone importanti nella nostra vita e poi dagli “altri” in generale.

Gli altri ci permettono di specchiarci

Quindi possiamo dire che impariamo a conoscerci grazie a ciò che vediamo negli occhi di chi ci guarda.

Queste persone ci hanno restituito un’immagine filtrata dalla loro esperienza personale, dai loro gusti, dalle loro opinioni, dai loro valori, dal loro carattere. Se fossero davvero specchi, potrebbero presentare tre caratteristiche potenzialmente letali per la nostra autostima:

  • La superficie dello specchio potrebbe non essere sufficientemente piana: gli altri ci restituiscono qualcosa che può distorcere la realtà.
  • Spesso la superficie dello specchio non sa di essere riflettente: molte persone non sanno che il modo in cui ci rispecchiano può avere influenze pesanti sulla nostra autostima. Chissà quante persone si comporterebbero diversamente se sapessero che quello che trasmettono ai figli tramite le loro reazioni è determinante per accrescerne l’autostima!
  • Purtroppo, a volte, la superficie in cui ci specchiamo può essere rotta: in questo caso non solo ci vediamo distorti, ma potremmo anche non avere una visuale completa. È il caso dei figli di genitori con severe problematiche di personalità, relazionali e psichiatriche, fra i quali la bassa autostima e un senso di Sè frammentario e non integrato sono molto diffusi.

Spesso per orientarci facciamo affidamento su sentimenti, emozioni e pensieri degli altri (i nostri “specchi”), comportandoci in modo da adeguarci alle loro aspettative, ma in questo modo inibiamo l’espressione della nostra personalità e il suo sviluppo. Per avere una sana autostima bisogna invece avere la consapevolezza dei propri sentimenti, delle proprie emozioni e dei propri pensieri. Comincia quindi a conoscere il tuo mondo interiore e a dargli importanza. Chiediti: ma io cosa provo in questa situazione? Cosa ne penso? Cosa mi piace davvero? E, soprattutto, rispondi sinceramente.

Per aumentare la tua autostima devi conoscerti intimamente.

4. Per migliorare la tua autostima, risolvi i tuoi conflitti

Quando senti di essere lontano da ciò che credi di volere e/o dover essere, il giudizio su di te vira verso il negativo. L’autostima quindi si abbassa e si crea dentro di te un conflitto che è fonte di emozioni negative.

Sentire di non essere chi pensiamo di voler essere ci fa sentire frustrati, depressi, delusi.

Sentire di non essere chi crediamo di dover essere ci fa sentire in ansia, in colpa, in imbarazzo, ci fa vergognare.

Per aumentare la tua autostima, risolvi i conflitti fra ciò che pensi di essere e ciò che vuoi/senti di dover essere.

Questo conflitto va risolto per consentirti di migliorare la tua autostima.

Per farlo, la maggior parte delle volte bisogna essere disposti a modificare la propria lista di valori, bisogni e obiettivi. Chiediti innanzitutto se ti appartengono davvero e da dove derivano!

È poi necessario diventare buoni genitori di se stessi: imparare ad accettarsi (anche nelle parti che ci piacciono di meno), non giudicarsi, perdonarsi, ascoltare le proprie emozioni e mettere in luce le proprie qualità positive e i valori che per noi sono importanti. Insomma, in poche parole, volersi bene e darsi il permesso di esistere per quello che si è.

Presta attenzione ad un possibile errore: accettarsi non significa necessariamente darsi la propria approvazione (“Bravo! Non potevo fare di meglio!”) oppure avvallarsi in modo passivo (“Continuo a fare questo perché non sono capace di fare altro”), ma vuol dire avere la consapevolezza di ciò che si è, di ciò che si può migliorare e di ciò che invece fa intimamente parte di noi e al massimo si può gestire o controllare.

5. Scegli con cura i tuoi specchi

Per permetterti di avere una autostima positiva è importante comprendere che l’immagine riflessa dallo specchio non è mai obiettiva, e che la strategia migliore da seguire è imparare a conoscerti profondamente, accoglierti e accettarti per come sei. Però le relazioni umane ed il confronto con gli altri fanno parte della quotidianità: quindi come puoi gestire i tuoi “specchi”?

Se non hai avuto la fortuna di avere dei genitori che ti hanno fatto sentire accolto per come sei, puoi intanto riconoscere e accettare che in passato ti sei guardato in uno specchio deformato o rotto. Puoi cercare di capire in che modo questo ha distorto la tua immagine, e questa consapevolezza ti sarà di grande aiuto. Ma il passato non si può cambiare.

Nel presente, invece, puoi decidere di scegliere e dare importanza a quegli specchi che ti rimandano un’immagine che ti fa sentire bene con te stesso. Sto parlando di quelle persone che ti fanno sentire accettato, delle quali percepisci la simpatia, il supporto ed il calore gratuiti. Attenzione alla clausola della gratuità: chi ti regala queste sensazioni non deve volere niente in cambio. In caso contrario rischi di cadere nella trappola di un manipolatore: una persona che ha il bisogno di controllare gli altri. Tu però vuoi mantenere saldamente il controllo della tua vita, per poter migliorare la tua autostima.

Per aumentare la tua autostima scegli di dare importanza alle persone che ti fanno sentire gratuitamente accettato.

FONTI

Higgins ET, Bargh JA. “Social cognition and social perception”. Annu Rev Psychol. 1987;38:369‐425. doi:10.1146/annurev.ps.38.020187.002101

L. Festinger. A Theory of Social Comparison Processes. 1954

C. Rogers. Client-Centered Therapy. 1951

M. Rosemberg. “Self Esteem Scale”. 1965

Pilar Mallor e Manuel Villegas. “El Narcisismo Y Sus Modalidades”. 2010

Mann M, Hosman CM, Schaalma HP, de Vries NK. “Self-esteem in a broad-spectrum approach for mental health promotion”. Health Educ Res. 2004;19(4):357‐372. doi:10.1093/her/cyg041

Il parto traumatico

parto traumatico

Il mio parto è stato traumatico

Fra le donne che hanno partorito, una su tre (il 33%) riferisce di aver vissuto un parto traumatico. Questo può accadere perché la donna ha sperimentato:

  • una situazione oggettivamente traumatica in cui la vita o l’integrità fisica di mamma e bimbo sono stati davvero a rischio (come un parto operativo o cesareo d’emergenza);
  • eventi percepiti soggettivamente come traumatici, anche se il parto è risultato fisiologico dal punto di vista ostetrico.

I disturbi legati all’aver vissuto un parto traumatico si risolvono, nella maggior parte dei casi nell’arco di qualche settimana. Se però noti che continui a stare male anche oltre il primo mese dal parto, potresti soffrire di disturbo da stress post-traumatico correlato al parto: una condizione invalidante che può portare ad un significativo peggioramento della qualità della vita per te e per il tuo bambino.

Soffri di di PTSD correlato a parto traumatico?

Un quarto (25%) delle donne che hanno vissuto un parto traumatico sviluppa in modo conclamato un PTSD (disturbo da stress post-traumatico) manifestando i seguenti sintomi (non necessariamente tutti, ma almeno uno per punto) da più di 30 giorni:

  • Rivivere il parto traumatico con incubi, immagini intrusive, flash-back, percezioni negative e rabbia.
  • Avere paura del parto (o addirittura soffrire di tocofobia); evitare qualsiasi esperienza/oggetto/persona/situazione ricordi il parto traumatico; evitare ulteriori gravidanze o preferire un cesareo elettivo per partorire.
  • Alterazioni dell’umore (diminuzione dell’interesse per le attività; diminuzione nell’espressività delle emozioni; sentirsi alienate, distaccate, provare un senso di estraneità; provare sentimenti persistenti di paura, rabbia, terrore, senso di colpa, vergogna) e della cognizione (problemi di memoria, aspettative e credenze negative persistenti su se stesse) .
  • Disturbi del sonno; difficoltà di concentrazione; aumentata irritabilità, aggressività e reattività; comportamenti autodistruttivi o spericolati.
parto traumatico

Come curare il PTSD correlato al parto

Per le donne che si ritrovano profondamente segnate da un parto traumatico è importante elaborare il prima possibile questo trauma mediante un percorso psicoterapeutico (una delle metodiche d’elezione indicate per il trattamento del PTSD è l’EMDR), affinché l’evento non provochi conseguenze pesanti sulla vita della madre e, quindi, sulla relazione con il bambino. Superare il trauma favorirà così l’instaurarsi di una maternità positiva.

Devo partorire: sono a rischio di sviluppare un PTSD da parto traumatico?

Sei più a rischio di sviluppare un PTSD da parto se:

  • Precedentemente al parto:
    • hai avuto problemi psichiatrici, e in particolare la depressione e/o una precedente storia di PTSD, anche correlati ad un precedente parto traumatico;
    • sei una persona generalmente ansiosa;
    • hai delle patologie correlate alla gravidanza;
    • hai una gravidanza indesiderata;
    • sei stata vittima di violenza sessuale.
  • Durante il parto:
    • hai provato paura per te stessa o per il neonato;
    • hai subito eventi oggettivamente traumatici (come un cesareo urgente o un parto operativo vaginale);
    • desideri fortemente mantenere il controllo;
    • le tue aspettative riguardo alla nascita del tuo bambino vengono deluse;
    • non hai supporto;
    • percepisci un dolore eccessivo e non gestibile durante il travaglio.
  • Successivamente al parto:
    • non hai supporto da parte di famiglia e amici ;
    • il tuo bambino presenta dei problemi (in particolare se il suo peso alla nascita è inferiore a 1 Kg).

Come prevenire il PTSD correlato al parto

È vero che alcuni fattori che predispongono ad avere un parto traumatico e un conseguente disturbo da PTSD sono non modificabili e non prevedibili, ma si può comunque fare della prevenzione per far sì che quello che succederà non segni profondamente.

  • Dal punto di vista fisico: prenditi cura della tua salute e della salute del tuo bambino e fai scelte sanitarie adeguate a te ma in modo davvero informato, collaborando con il personale sanitario che ti segue;
  • Dal punto di vista psicologico,
    • Cerca il supporto della tua rete sociale.
    • Se hai già sofferto in passato di depressione o PTSD in generale, fatti accompagnare da un professionista della salute mentale che ti aiuti a valutare il tuo livello di equilibrio psicologico ed a trattare eventuali scompensi.
    • Tratta eventuali tocofobia o PTSD correlato a parti precedenti con l’aiuto di uno psicoterapeuta (una metodica indicata in questo ambito è l’EMDR).
    • Preparati al parto con un metodo che ti insegni come affrontare travaglio e parto dal punto di vista pratico ma che favorisca anche il mantenimento del tuo equilibrio psicologico mediante rinforzo delle tue risorse interiori (come il Training Ipnotico al Parto).

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FONTI

PTSD Disordine da Stress Post-Traumatico nel puerperio: risultati di una indagine conoscitiva su 46 madri presso l’Istituto Ostetrico-Ginecologico Luigi Mangiagalli di Milano / B. Cigoli, C. Maggioni, D.Calistri. – [s.l] : null, 2007 Sep 20.

Grussu P., Bramante A. Manuale di psicopatologia perinatale. Erickson ed.

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Autonomia materna nella gravidanza e nel parto

autonomia materna

Quando dovrai fare scelte riguardanti la gravidanza ed il parto, le farai a modo tuo?
Ecco una guida pratica per controllare o influenzare le decisioni che condizioneranno te e la tua famiglia.

Sta diventando sempre più evidente, anche grazie alla ricerca scientifica, che l’autonomia delle donne ha ampio impatto sul benessere e sulla salute della famiglia e della comunità. Infatti le donne che godono di una maggiore autonomia usano più facilmente la contraccezione, hanno famiglie più piccole, hanno meno gravidanze non pianificate, sono più propense a cercare assistenza sanitaria, sfruttano le cure prenatali disponibili, sono meno a rischio di disturbi depressivi e ansiosi. Questi sono tutti fattori che promuovono un maggior benessere sociale, economico e psicofisico.

L’autonomia è l’abilità di controllare o influenzare le scelte che condizionano la persona stessa e la sua famiglia. Questo significa avere un peso nelle decisioni che coinvolgono la famiglia, le finanze, le spese, il lavoro, le uscite sociali, la mobilità, l’assistenza sanitaria, la pianificazione delle nascite, la cura dei figli. È quindi evidente come una buona fetta dell’autonomia della donna che ha figli sia costituita dall’autonomia materna.

Le condizioni necessarie per l’autonomia materna

Nel nostro contesto socio-culturale attuale, quando sei incinta entri in contatto con una grande molteplicità di messaggi su come gestire una gravidanza (cosa mangiare, cosa bere, cosa evitare, quando e come allenarsi…) e hai a disposizione numerose opzioni per partorire (a casa tua, in una casa del parto, in ospedale, in vasca, tramite parto naturale, tramite cesareo…) e per crescere bene tuo figlio (basti pensare, ad esempio, alla possibilità di allattare al seno o con latte artificiale). Questo è indice del fatto che ci sono inevitabilmente diverse opinioni riguardo a quale sia la scelta migliore. Ogni gravidanza e ogni nascita sono esperienze individuali, estremamente personali: è impossibile generalizzare e dire a prescindere cosa dovresti fare. Puoi e devi scegliere tu.

Però, dire semplicemente “Lo faccio a modo mio!” è riduttivo, limitante e anche un po’infantile. Infatti, se da una parte è importante garantire il tuo diritto alla tua autonomia come persona, donna e madre, dall’altra bisogna porre alcune premesse molto importanti per non fare scelte di cui poi pentirsi.

Per poter esercitare la tua autonomia materna, quindi, è necessario che tu prenda decisioni impiegando il tuo controllo, la tua indipendenza e il tuo ragionamento etico essendo prima di tutto informata, libera e serena.

Essere informata

La maternità ti mette davanti a numerose scelte. A volte, specialmente se è la prima gravidanza, ti senti come una banderuola al vento, non sapendo quale sia la direzione giusta da imboccare. I parenti dicono una cosa, i medici un’altra, il partner una terza ancora, su internet si trova di tutto…ma tu, che alla fine sei l’attrice principale di questa decisione? Come puoi orientarti nel marasma di offerte proposte?

Le domande che ti devi fare

Cominciamo con tre domande generali, che gettano le basi per tutte le scelte che dovrai fare in futuro come madre:

  1. Ho compreso l’importanza di una maternità positiva?
  2. Dato che devo fare delle scelte sia per me che per il mio bambino, ho sviluppato la competenza materna?
  3. Ho sviluppato l’autostima materna, per essere davvero sicura di me e fondare le mie scelte su basi solide?

Riassumendo, se hai sviluppato la competenza materna e l’autostima materna sai di avere delle responsabilità per cui a volte ciò che vuoi è incompatibile con ciò che si può fare, pena una compromissione di quella sicurezza che è caratteristica di una maternità positiva. Tra sicurezza e scelta a volte vi sono dei conflitti. Questi conflitti però si possono conciliare se si ha a cuore l’interesse del bambino che verrà al mondo.

Proseguiamo poi con domande relative alla singola scelta che devi fare.

  1. Dove posso trovare le informazioni più valide? Per quanto sia una tua responsabilità personale, non è detto che prendere una decisione sia un compito da svolgere in solitudine. Anzi, cercare confronto con l’esterno è indice di equilibrio! L’importante è confrontarsi con chi è davvero esperto a 360 gradi. Cerca le informazioni che ti servono dai professionisti del settore (ginecologi, ostetriche), sentendo campane diverse e valutando chi ti ispira più fiducia in termini di competenza, affidabilità e aggiornamento. Se vuoi confrontare ciò che ti dice il professionista con gli ultimi aggiornamenti, basati su siti web istituzionali, come il sito del Ministero della Salute o della World Health Organization. Una volta trovati i professionisti di riferimento, lasciati guidare.
  2. Quali sono le opzioni tra cui scegliere? Fai un elenco scritto, per fissare le idee in maniera più chiara.
  3. Quali sono le conseguenze e i rischi di ogni singola scelta? Anche qui, per ogni opzione fai un elenco scritto dei pro e dei contro, in modo da poter comparare le possibilità con un colpo d’occhio.
  4. Posso avere a disposizione del supporto esterno per l’opzione che sceglierò? Ad esempio, se scegli di partorire in casa, hai la possibilità di avvalerti di un professionista valido che ti segua per garantire un parto sicuro?
  5. Se non voglio fare una cosa, ci sono alternative valide e sicure disponibili? Ad esempio, se scegli di non allattare al seno, puoi usufruire del latte artificiale per l’infanzia? È reperibile? Te lo puoi permettere? Infatti ripiegare sulle alternative, ovvero latti animali (di mucca, di capra) è controindicato e davvero rischioso per la salute del neonato, specialmente se non sono controllati: il bambino può andare incontro a carenze nutrizionali che compromettono lo sviluppo psicofisico del bambino, oppure incorrere in gravi tossinfezioni alimentari.

La libertà

Può sembrare scontato parlare di libertà nel mondo occidentale attuale, ma ci sono situazioni in cui questa è condizionata da rapporti interpersonali non equilibrati, di solito con il partner, con la famiglia d’origine o con la comunità in cui sei inserita.

In questi casi non puoi, o senti di non potere, influire sulle decisioni importanti per te stessa o per la tua famiglia, perché c’è il rischio di conseguenze anche pesanti: minacce o azioni ritorsive anche fisicamente, verbalmente o psicologicamente violente.

Se ti riconosci in questo profilo, sappi che non è una situazione che promuove il benessere. La libertà individuale è un diritto umano. Puoi cambiare questa tua posizione, perché la libertà è prima di tutto psicologica. Consultati con uno psicoterapeuta per favorire la tua transizione verso la libertà nel modo migliore possibile, in modo da poter vivere davvero la tua autonomia materna.

Violenza ostetrica

Ci sono situazioni in cui la libertà della donna viene violata dal personale sanitario: si parla in questo caso di violenza ostetrica. Per fortuna negli ultimi anni si sta dedicando a questo argomento un’attenzione sempre crescente, per cui gli operatori sanitari vi sono sempre più sensibilizzati e la situazione sta migliorando.

È però importante sapere che all’atto pratico del parto hai diritto a dare il tuo consenso informato sulle procedure che ti vengono proposte. Chi si prenderà cura di te avrà la premura di spiegarti il perché ti viene offerta una tale procedura e quali sono i rischi e le conseguenze correlati.

Ma se vuoi prepararti davvero al parto, informati prima sulle possibili opzioni e sui tuoi diritti, in modo da arrivare al travaglio serena e consapevole.

Per avere invece la fermezza, la sicurezza e la competenza necessarie per prevenire ed ammortizzare le eventuali conseguenze della violenza ostetrica, puoi prepararti al parto con uno psicoterapeuta preparato.

La serenità

Una mamma può prendere decisioni in autonomia se è serena.

Ti senti agitata, inquieta, turbata, scossa, spaventata? Se ti trovi in questo stato, non è un buon momento per prendere decisioni.

Cosa fare allora?

Fai una valutazione: riesci a ritrovare uno stato interiore più sereno entro breve (in fondo la crescita del pancione non si può mettere in pausa)? Se non ci riesci, rivolgiti prontamente ad uno psicoterapeuta, che può aiutarti a ritrovare la calma, la tranquillità, l’equilibrio che ti servono per poter prendere serenamente le tue decisioni in piena autonomia materna.

In particolare, se è il parto a preoccuparti e mandarti in crisi (se ne hai paura, se sei stata traumatizzata da un parto precedente, se l’incertezza ti blocca…), puoi considerare l’idea di prepararti al parto con un professionista della salute mentale che ti dia tutti gli strumenti necessari per trovare il tuo equilibrio interiore e vivere una maternità positiva.

FONTI

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Competenza materna: sarai una mamma capace?

competenza materna

Diventare madre può essere contemporaneamente un momento di grande gioia e grande stress. Infatti non sei più responsabile solo di te stessa, ma lo diventi anche di tuo figlio.
Questo momento di transizione ti permette di valutare accuratamente la tua competenza materna, cioè la tua capacità di prenderti cura di un altro essere umano. Questa è un elemento importante, secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), per vivere una maternità positiva.

Cos’è la competenza materna? È la capacità della madre di mettere in atto comportamenti, abilità e strategie che promuovano uno sviluppo positivo del figlio e che ne favoriscano l’adattamento all’ambiente. Questo significa essere in grado di:

  1. stabilire obiettivi appropriati;
  2. monitorare i comportamenti (tuoi e di tuo figlio);
  3. mettere in atto strategie adeguate per raggiungere gli obiettivi;
  4. valutare l’efficacia delle tue azioni.

La capacità di creare un ambiente salutare e sereno, favorevole per la crescita e lo sviluppo del bambino, è strettamente correlata all’auto-efficacia materna.

Competenza materna e auto-efficacia: quale relazione?

L’auto-efficacia materna è ciò che tu pensi delle tue capacità di organizzare ed eseguire un insieme di compiti finalizzati al crescere un figlio. Fa parte della tua autostima materna e favorisce una serie di effetti positivi e protettivi nei confronti della salute psicofisica di bambini ed adolescenti:

  • migliora la qualità delle interazioni fra la madre e bambino;
  • fa sì che la madre sia più affettuosa e responsiva;
  • rende la madre più interessata e coinvolta nello svolgere attività tipicamente genitoriali;
  • funge da “ammortizzatore” in caso di depressione della madre e di avversità associate a circostanze di vita svantaggiate;
  • riduce la probabilità che il bambino sviluppi un temperamento problematico.

D’altro canto, non essere fiduciosi nelle proprie capacità genitoriali è collegato a:

  • depressione materna;
  • credere di non poter operare dei cambiamenti in situazioni problematiche;
  • comportamento considerato “difficile” del figlio;
  • alti livelli di stress percepiti dalla madre;
  • sensazione di essere sopraffatta dalle responsabilità genitoriali e di essere sovraccaricata dai compiti che la maternità comporta;
  • tendenza a delegare agli altri la risoluzione dei propri problemi.

Il paradosso della competenza materna

competenza materna

Il tuo livello di competenza materna è quindi strettamente correlato al tuo livello di auto-efficacia come madre. Può sembrare paradossale, ma per saperci fare come mamma bisogna prima di tutto che tu ti senta in grado di fare da madre. Infatti la sensazione di esserne capace si sviluppa dopo la nascita del bambino, ma affonda le sue radici:

  • nelle tue esperienze infantili con le figure che si prendevano cura di te. Queste esperienze ovviamente si trovano nel passato e non sono modificabili, ma si possono elaborare nel caso siano state traumatiche;
  • nei messaggi esterni (culturali o della comunità in cui vivi): questi non sono facilmente influenzabili, ma si possono filtrare e valutare;
  • in una buona preparazione per il ruolo materno. Puoi lavorare su questo punto per aumentare la tua auto-efficacia, e quindi rendere più solida la tua competenza materna, già prima di partorire.

Preparati ad essere madre: il circolo virtuoso

Essere madre significa anche considerare il proprio figlio come un progetto, facendo il possibile per garantire il suo sviluppo in senso positivo. Secondo la ricerca, le madri che ottengono i migliori risultati (in termini di sviluppo psicofisico dei figli) sono quelle competenti e con alta auto-efficacia.

Per aumentare le probabilità di favorire lo sviluppo positivo di tuo figlio, puoi instaurare un circolo virtuoso. Più ti senti capace e più sei competente, più sei competente e più ti senti capace. Per fare questo puoi lavorare già da subito su tre fronti: la gravidanza, il parto e la genitorialità.

Consapevolezza e scelte durante la gravidanza

È innanzitutto importante riconoscere che durante la gravidanza ci sono dei fattori che non rientrano sotto il tuo controllo e altri che invece puoi influenzare. Per fare un esempio, alcune malformazioni hanno cause genetiche imprevedibili, mentre altre sono addirittura prevenibili. Infatti per prevenire i difetti del tubo neurale (come la spina bifida) si raccomanda l’assunzione di acido folico già prima del concepimento, e poi per tutto il primo trimestre.

Per aumentare la tua auto-efficacia e la tua competenza, puoi coltivare la capacità di riconoscere gli elementi controllabili e concentrarvi le tue energie. Ad esempio, è controproducente che tu ti dia la colpa se ti viene diagnosticato un diabete gestazionale o una gravidanza a rischio. È invece utile che ti informi attivamente e segua sollecitamente le indicazioni terapeutiche che ti verranno date dal medico.

Non è detto che sia semplice agire sui fattori modificabili. Spesso infatti questo comporta un cambiamento che si può scontrare con le tue resistenze. Oppure può portare ad una serie di problemi che farebbe più comodo non vedere. Ma avere la responsabilità della vita di tuo figlio significa fare delle scelte volte alla tutela della sua salute e del suo sviluppo. Anche se queste scelte possono essere per te scomode.

Se ti trovi in difficoltà nell’individuare i fattori in cui le tue scelte possono avere un ruolo decisivo, non esitare. Chiedi al tuo medico di fiducia o alla tua ostetrica cosa puoi fare per favorire la salute del bambino che porti in grembo.

Inoltre, se ti accorgi che ti riesce difficile mettere in pratica le indicazioni del personale sanitario, sii attiva! Rivolgiti ad uno psicoterapeuta, per avere un sostegno specializzato ed affrontare il cambiamento necessario.

Arrivare al parto già competenti

Sembra paradossale che una donna possa sentirsi competente nel partorire prima ancora di aver partorito per la prima volta, vero? Eppure il senso di competenza materna è talmente importante da essere un fattore protettivo per la salute mentale della donna che deve partorire. Sentirti competente nel partorire ti farà avere un minor rischio di depressione post partum e di disturbo da stress post-traumatico correlato al parto.

Specialmente se partorirai per la prima volta, ti chiederai: come è possibile sentirsi competenti nel fare qualcosa di cui non si ha la minima esperienza?

È un dato di fatto che ogni parto è un evento unico e imprevedibile nel suo decorso. Però l’evoluzione ci ha selezionate nel corso di centinaia di migliaia di anni, generazione dopo generazione. Possiamo quindi dire che le donne del XXI secolo d.C. hanno nel DNA la capacità di partorire.

Proprio così: sei già capace di partorire!

senso di competenza materna nel partorire

Inoltre, ci sono professioni, strutture e metodiche che possono aiutarci laddove il nostro istinto non può. Infatti ostetriche, ginecologi, ospedali, farmaci e anche il parto operativo e cesareo sono risorse che si propongono di migliorare la sorte di un parto complicato. E nella maggior parte dei casi ci riescono. Per questo non ti devono spaventare, anzi, possono farti sentire protetta e supportata nella tua competenza materna.

Da cosa è influenzata l’auto-efficacia nel partorire?

L’auto-efficacia materna nel partorire può essere influenzata negativamente da fattori di tipo:

  • culturale: ad esempio in seguito ad un periodo storico in cui il parto è stato molto medicalizzato;
  • sociale: carente o assente supporto di un partner, della famiglia o della società;
  • psicologico: bassa autostima, depressione, ansia, paura del parto o della gravidanza.

Per fortuna ci sono altrettante influenze che possono aumentare l’auto-efficacia e la competenza materna nel partorire:

  • movimenti culturali che evidenziano la necessità di far riappropriare la donna del suo ruolo centrale nel parto;
  • Il supporto del partner, della famiglia e della società (amicizie, conoscenze, associazioni, istituzioni);
  • una buona autostima, un buon tono dell’umore, adeguate capacità di affrontare e gestire le proprie ansie e paure;
  • una buona preparazione al parto.

Se però la tua auto-efficacia nel partorire è nascosta, offuscata o credi di esserne carente, chiedi aiuto. Un professionista potrà infatti aiutarti ad appropriarti di questa importante risorsa interiore che ti guiderà verso un parto ed una maternità positivi.

Gettare le basi della genitorialità

Gli aspetti pratici

Quando il tuo bambino sarà nato, avrai tutte le possibilità di metterti alla prova e fare esperienza diretta della maternità. Se saprai in che direzione muoverti, questo rinforzerà la tua competenza materna e la tua auto-efficacia, aumentando le possibilità che tuo figlio si sviluppi bene.

Sicuramente all’inizio sarà utile

  • avere pronto tutto ciò che serve dal punto di vista concreto (vestitini, copertine, carrozzina, navicella o ovetto, culla, fasciatoio, tiralatte, coppette, assorbenti, pannolini, biberon…);
  • aver organizzato la casa (e la vita!) in modo da avere almeno i primissimi mesi di tranquillità per affrontare la transizione verso la maternità;
  • trovare una o due fonti autorevoli e soprattutto aggiornate da cui trarre le indicazioni pratiche su come prendersi cura del neonato: quando e quanto nutrirlo? Come vestirlo? Qual è la tecnica per cambiare il pannolino? Come fargli il bagnetto? Che prodotti usare? In che modo può dormire in sicurezza? Sono tutte domande che possono sembrare sciocche. Ma non lo sono. Prima di fare qualcosa, non dare nulla per scontato. Potrebbe sempre esserci qualcosa che ti sfugge. E poi, se ne hai voglia, ascolta e vaglia tutti i consigli (richiesti o meno!) che ti arriveranno dagli altri!
  • avere presente quali sono le tappe di sviluppo del bambino e le abilità in relazione all’età. Questo ti servirà per sapere come stimolare il bambino in modo appropriato e cercare tempestivamente aiuto nel caso si riscontrassero dei problemi.

In questo ambito è opportuno fare costantemente riferimento all’ostetrica e al pediatra di fiducia. Puoi in aggiunta acquistare un manuale, che sia per te chiaro ed esplicativo, da consultare agevolmente mese dopo mese.

Come si comporta una mamma competente?

Prima ancora che il bambino nasca, è utile anche avere un’idea di quali sono i modelli appropriati di comportamento genitoriale. Per favorire lo sviluppo del figlio, una mamma (ma anche un papà!) dovrebbe:

  • riconoscere i bisogni del bambino, soprattutto quando è neonato, e rispondervi in modo sufficientemente pronto ed adeguato;
  • interagire attivamente con il figlio (quindi non solo rispondere alle sue richieste, ma anche stimolarlo);
  • essere attiva nella gestione dei propri problemi emotivi ed interpersonali, per gestire, ridurre o tollerare lo stress ed il conflitto;
  • accettare e legittimare le preoccupazioni e i disagi del figlio, senza sminuirli;
  • utilizzare un metodo di disciplina non punitivo ma autorevole.

Se ti accorgi che ti viene spontaneo comportarti in modo diverso rispetto a queste indicazioni, rivolgiti ad uno psicoterapeuta. Potrete così valutare insieme le tue competenze genitoriali, riconoscere eventuali problemi, capirne le origini e risolvere in modo attivo i problemi.

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FONTI

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http://www.euro.who.int/en/health-topics/Life-stages/maternal-and-newborn-health/activities-and-tools/effective-perinatal-care-epc-training-package/epc-training-maternal-health-modules-modules-mo/1mo.-antenatal-care

Shrooti S, Mangala S, Nirmala P, Devkumari S, Dharanidhar B. Perceived Maternal Role Competence among the Mothers Attending Immunization Clinics of Dharan, Nepal. Int J Community Based Nurs Midwifery. 2016;4(2):100‐106.

http://www.copmi.net.au/professionals-organisations/what-works/evaluating-your-intervention/parents-carers-families/competence

Priscilla K. Coleman, Katherine Hildebrandt Karraker. Maternal self‐efficacy beliefs, competence in parenting, and toddlers’ behavior and developmental status. Infant mental health journal, Vol. 24(2), 126–148 (2003).

Autostima materna: tutto quello che hai bisogno di sapere

Gravidanza e maternità sono tappe vitali che cambiano profondamente l’identità della donna. Se sei incinta, da ora la tua autostima globale verrà influenzata anche dalla tua autostima materna, cioè dalla tua valutazione di te stessa come madre.
Non solo: l’opinione che hai di te stessa si rifletterà nella relazione con il tuo bambino.

In questa ottica è importante prendere consapevolezza della propria autostima materna. Cerchiamo di capire insieme perché è importante avere una buona opinione di sé come madre e soprattutto come farlo in modo equilibrato.

Perché dovresti curare la tua autostima materna (e globale) già prima del parto

Quando arriverai al momento del parto, la tua autostima globale sarà già affiancata dalla tua autostima materna: in fondo, nel momento in cui hai portato tuo figlio in grembo per circa 9 mesi sei già entrata nell’ottica di essere una madre, anche se in effetti è dopo il parto che riuscirai veramente a “metterti alla prova” come mamma e scoprire cosa pensi di te stessa in quanto tale.

Autostima globale e autostima materna rispondono rispettivamente alle domande “Come sono come persona?” e “Come sono come madre?”, e si influenzano a vicenda. Più è importante per te essere madre, più la tua autostima materna influenzerà l’autostima globale. D’altra parte, tanto migliore è la tua autostima globale “di partenza”, tanto più facile sarà avere una buona autostima materna.

Vediamo ora quali vantaggi ti porta l’avere una buona opinione di te stessa come madre.

Ti appropri più facilmente del tuo ruolo di madre

La transizione da donna a madre non è sempre un percorso privo di ostacoli. Alcune donne non sentono subito amore nei confronti del figlio neonato, preferiscono non allattarlo, provano dei sentimenti conflittuali nei confronti della maternità. E va bene così: sono sentimenti che, grazie ad una buona autostima, possono essere accolti, accettati ed elaborati.

Inoltre le madri, a prescindere dai loro sentimenti verso la maternità e verso il neonato, hanno comunque un importantissimo ruolo di cura nei confronti del proprio bambino. Più una mamma sarà competente in questo ruolo, più faciliterà un sano sviluppo del bambino.

La ricerca supporta la previsione per cui una madre con una buona autostima sarà con maggiore probabilità una madre competente ed avrà un buon livello di responsività materna: sarà cioè in grado di riconoscere, in modo continuativo nel tempo, i segnali del bambino e di rispondervi, agendo di conseguenza, in modo sufficientemente adeguato.

La responsività materna è importantissima nel primo anno di vita del neonato, perché promuove un attaccamento sicuro: il bambino sente di essere supportato incondizionatamente nelle sue necessità e questo gli garantisce una base sicura dalla quale può partire per esplorare il mondo esterno (sapendo che il genitore lo lascerà libero, vegliandolo, proteggendolo al bisogno ed eventualmente consolandolo se necessario). Il suo sviluppo neurofisiologico, fisico e psicologico sarà così favorito.

Attenzione! Questo non vuol dire che devi essere ossessiva e rivolgere al bambino attenzioni morbose, né tantomeno che devi essere sempre perfetta e non puoi permetterti di sbagliare.

Capacità di affrontare l’imprevedibilità

C’è un detto: “In ostetricia, ci sono più eccezioni che regole”. Questo è vero: sembra che non ci sia un parto uguale all’altro! Quindi anche la tua esperienza sarà unica. E imprevedibile. Ci saranno dei punti fissi, ci saranno dei protocolli che verranno seguiti per avere il miglior esito possibile dal parto. Ma l’alto tasso di imprevedibilità rende il parto un momento potenzialmente traumatico, e questo è riconosciuto dalla comunità scientifica.

L’imprevedibilità poi entrerà a far parte della tua quotidianità: il ritmo della vita cambierà in un modo repentino (un giorno sei da sola, il giorno dopo ti ritrovi a doverti occupare di un bebè!), inoltre dovrai appena iniziare a conoscere il bambino che ti troverai tra le braccia, che avrà i suoi problemi, le sue preferenze, le sue esperienze, il suo comportamento. Tutto questo fa parte della vita ed è intrinsecamente meraviglioso ed affascinante. Ciò non toglie che possa essere destabilizzante.

Le ricerche dimostrano che una buona autostima rende in grado di adattarsi in modo efficace alle contingenze e di gestire la paura e l’incertezza che queste situazioni comportano. Avere una buona opinione di te (come madre e come persona in generale) ti permetterà di affrontare con maggiore capacità di adattamento i cambi di programma e l’incertezza della vostra vita d’ora in avanti.

Capacità di affrontare le situazioni negative

È normale augurarsi che tutto vada per il meglio. Queste aspettative possono però essere infrante da eventi più o meno gravi. In questi casi ogni minaccia di evento negativo è un boccone amaro, a volte difficile da digerire. Ci sono in particolare alcuni eventi che influiscono negativamente sull’autostima materna.

Nati prematuri e problemi di salute

Anche la sola percezione che la madre ha sulla salute del bambino, indipendentemente dal riscontro effettivo di problematiche mediche, influisce sull’autostima materna: se la donna percepisce di aver partorito un bambino vulnerabile, ha un maggior rischio di sviluppare una bassa valutazione di sé.

Oltre a questo, una mamma di un bambino nato prematuramente e/o con dei problemi di salute è più a rischio di avere una bassa autostima materna, specialmente se il neonato necessita di un ricovero prolungato e ha bisogno di un periodo in terapia intensiva neonatale. In questo caso i genitori (che nell’eventualità di nascita prematura possono non essere ancora pronti, praticamente o psicologicamente, per assumere il loro ruolo) vivono momenti di incertezza e stress. Inoltre, le opportunità di accudire il bimbo sono inferiori e ci si deve confrontare con una certa passività forzata. Per fortuna negli ultimi anni le strutture ospedaliere hanno fatto enormi progressi nel comprendere e consentire la maggiore interazione possibile tra genitori e neonato: infatti, dare la possibilità ai genitori di esercitare le loro capacità permette loro di aumentare l’autostima genitoriale ed instaura un circolo virtuoso che si riflette sul benessere della madre e del bambino.

Un bambino con problemi di salute, inoltre, accentrerà tutta l’attenzione e le energie del personale sanitario e della famiglia. La mamma quindi non avrà modo di avere quel “consolidamento emotivo” che normalmente avviene dopo il parto, e la sua autostima ne risentirà.

Il comportamento difficile del neonato

A volte le madri confondono il comportamento del neonato con il suo temperamento o il suo carattere. Così l’autostima materna può essere più bassa se il bambino è poco autonomo, se dimostra una certa irregolarità nei bisogni fisiologici, se non si lascia consolare facilmente, se non è capace di di calmarsi da solo. Questi aspetti però non hanno a che fare con il carattere, ma sono causati da una transitoria instabilità fisiologica, che si stabilizza man mano nei mesi successivi al parto.

Il supporto della famiglia

Una madre che non percepisce il supporto del partner e/o della famiglia ha più probabilità di avere una bassa autostima materna. Questa percezione è estremamente soggettiva, pertanto è necessario che, almeno nel primo anno di vita del bambino da una parte la mamma sia chiara ed esplicita nelle richieste di aiuto e nel porre eventuali limiti e paletti, e dall’altra la famiglia sia aperta al dialogo e pronta ad aiutarla nelle sue necessità.

Il comportamento del personale sanitario

A volte le relazioni con il personale sanitario al momento del parto possono essere difficili.

Per la donna il parto è un evento a volte unico nella vita, carico di aspettative ed emozioni. Per il personale sanitario invece il parto, pur con la sua imprevedibilità, è un evento di routine.

Inoltre, a volte la professionalità dello staff viene inquinata: può quindi capitare che un professionista abbia una giornata negativa, abbia un brutto carattere, oppure sia spaventato da determinate circostanze ed agisca sulla base della paura. Questo può tradursi nei casi più lievi in uno scontro con la madre. Nei casi più gravi invece può sfociare nella violenza ostetrica, ovvero trattamenti irrispettosi e abusanti durante il parto nelle strutture ospedaliere. Tali trattamenti ovviamente non hanno giustificazioni plausibili: il personale sanitario dovrebbe comportarsi sempre in modo professionale. Purtroppo a volte queste situazioni si verificano comunque.

Avere una solida autostima materna è per te un notevole fattore protettivo nel caso in cui il personale sanitario si comporti in modo sbagliato nei tuoi confronti.

Il decalogo per migliorare la tua autostima materna

Aumentare la tua autostima materna significa migliorare la tua opinione di te stessa come madre. Ecco quindi un decalogo per rinforzare questo importante aspetto di te, che come abbiamo visto ha una essenziale funzione protettiva in tanti ambiti.

Autostima significa avere la consapevolezza dei propri punti di luce e delle proprie zone d'ombra.

1. Sii consapevole del tuo ruolo come madre: il tuo ruolo è supportare il tuo bambino, nutrirlo, proteggerlo, programmare il suo futuro, prenderti cura di lui. Anche se il tuo bimbo è ancora nel pancione, comincia già con il chiederti: “Come sono come persona e come madre?” e prendi consapevolezza delle tue caratteristiche e peculiarità.

2. Ricorda che essere una madre sufficientemente buona significa essere una persona autentica, che si accetta e ha consapevolezza di se stessa, sa cosa è possibile fare per migliorarsi e cosa, invece, fa parte delle sue peculiarità e può essere al massimo gestito e controllato.

3. Dopo il parto, condividi con il personale sanitario le tue impressioni sul bambino e sulla tua esperienza nel prenderti cura di lui (allattamento, cambio pannolino, …): questo darà allo staff la possibilità di capire il tuo punto di vista e di aiutarti in caso di bisogno.

4. Ricorda che se un sanitario minimizza le tue preoccupazioni (cosa ben diversa dal rassicurare!), ti tratta con sufficienza o addirittura in malo modo, non è colpa tua: non si sta comportando in modo professionale.

5. Senti il supporto del tuo partner/della tua famiglia? Prova a chiederti come eventualmente migliorare questo aspetto e sii in grado di chiedere aiuto, di avanzare le tue richieste e di porre i limiti che ritieni opportuni.

6. Se il tuo bambino ha bisogno di un ricovero prolungato, chiedi allo staff sanitario quello che puoi fare per accudirlo nonostante queste circostanze e sii attiva nell’approfittare di ogni possibilità per entrare in contatto con lui e sviluppare la vostra relazione. Solo tu puoi offrire al tuo bambino gli elementi unici di cui lui ha bisogno: il tuo tocco, la tua voce, il tuo odore, i tuoi baci, i tuoi abbracci.

7. Se il tuo bambino ha problemi di salute, ricorda che non serve a nessuno dimostrare di essere una roccia: sfogati, sii onesta sui tuoi sentimenti, affronta e risolvi le tue crisi interiori, chiedi aiuto e confronto. È importante che tu cerchi di prenderti cura di te stessa per poterti poi prendere cura al meglio del tuo bebè.

8. Ricorda che il comportamento del neonato non dipende dal suo carattere, ma è dato dalla sua condizione fisiologica, che può essere instabile e si stabilizzerà nei mesi (a volte anni) a venire. Affibbiare un’etichetta al tuo bambino nel primo anno di vita è pericoloso, perché può diventare una profezia che si auto-avvera. Abbi pazienza.

9. Siccome l’autostima materna è strettamente correlata con l’autostima globale, mettiti all’opera per migliorare quest’ultima e vedrai che anche la prima ne beneficerà.

10. Se senti di avere una scarsa autostima di base e hai paura di non riuscire a sviluppare una scarsa autostima materna, chiedi l’aiuto di uno psicoterapeuta: può essere risolutivo.

In conclusione, un buon livello di autostima materna è un pilastro fondamentale per la tua salute mentale, per vivere una gravidanza, un parto e una maternità positivi, per instaurare una relazione equilibrata con il tuo bebè e per favorire il suo sviluppo.

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FONTI

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D. Winnicott. Sviluppo affettivo e ambiente: studi sulla teoria dello sviluppo affettivo. Armando, 1974

Maternità positiva: la ricetta perfetta e i tre ingredienti segreti

Proprio come ogni pietanza che si rispetti, anche la maternità ha tante ricette diverse: si può dire che esiste una ricetta per ogni mamma. Queste ricette hanno alcuni ingredienti in comune (il pancione, per dirne uno!), ma ci sono tre ingredienti segreti che danno alla maternità quel tocco in più e la rendono positiva.

Che la tua maternità sia stata cercata o meno, se ora stai leggendo questo articolo probabilmente ti stai chiedendo come puoi trarre il massimo da questa esperienza. Seguimi in questa metafora e immagina di trovarti a dover cucinare una pietanza nel modo migliore possibile.

Quando dobbiamo cucinare (possibilmente bene) qualcosa, ci imbarchiamo in un piccolo progetto (a volte anche assurdamente impegnativo!). A volte capita di fare le cose un po’ a caso ed avere risultati sorprendenti, ma diciamoci la verità…la maggior parte delle volte facendo le cose a caso i risultati non sono granché. Se invece vogliamo andare sul sicuro, sappiamo che facciamo bene a seguire una ricetta, possibilmente già testata e valida.

Per questo voglio parlarti della ricetta perfetta per una maternità positiva.

Per una maternità positiva

Cosa vuol dire maternità positiva

Quando cucini, per la buona riuscita della pietanza è importante sapere in partenza cosa vuoi ottenere. Vale lo stesso per la maternità. Se per una ricetta culinaria l’obiettivo è creare una pietanza appetitosa/sana/scenografica/ecc, quale potrebbe essere un obiettivo sensato per una donna incinta? Vivere una maternità positiva. Con “maternità” si intendono gravidanza, travaglio, parto, post-partum e relazione madre-bambino; ma cosa si intende con “positiva”?

Premettiamo che vivere una maternità positiva non significa assolutamente essere sempre felici, sempre positive o stare sempre bene. Se è vero che alcune donne vivono la gravidanza e la maternità come se vivessero su una nuvoletta, è altrettanto vero che per molte donne, per una gran varietà di motivi, può non essere un periodo così roseo e felice: problemi fisici davvero fastidiosi o addirittura invalidanti, ansia, preoccupazioni, pesanti sbalzi d’umore, paura per il futuro… Quindi cerchiamo di essere pratiche e non idealizzare la maternità. Guardiamola con sguardo lucido e realistico. Per farlo ci viene in aiuto l’OMS.

La maternità positiva secondo l’OMS

maternità positiva

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, oppure WHO in inglese) sostiene che ciascun essere umano ha il diritto fondamentale di godere dei migliori standard possibili nell’ambito della salute. La salute viene definita dall’OMS come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale (e non quindi solo l’assenza di disagio o infermità).

Quindi secondo l’OMS la ricetta perfetta per una maternità positiva consiste nell’avere la possibilità di condurre la gravidanza e partorire in modo sicuro per la mamma e per il bambino. Questo permette, grazie alle conoscenze scientifiche che si hanno al momento, di prevenire molte complicanze sia nell’ambito fisico che in quello psicologico.

L’OMS individua quindi una problematica aperta: le condizioni della donna che deve partorire devono essere migliorate.

Dal punto di vista fisico, negli ultimi anni le donne stanno prendendo sempre più coscienza delle loro responsabilità e dei loro diritti: seguire determinate indicazioni dietetiche, sottoporsi a regolari analisi e controlli ostetrico-ginecologici, sapere di poter fornire il consenso informato alle procedure invasive durante il travaglio ed il parto…

L’ambito psicologico invece è spesso trascurato: dalle istituzioni, dagli operatori sanitari, ma anche e soprattutto dalla donna stessa, che non sa cosa significhi davvero avere il diritto alla salute psicologica, oltre che a quella fisica.

La futura madre deve quindi essere messa nella condizione di vivere positivamente la maternità a tutto tondo. Per fare questo è quindi importante ed urgente sensibilizzare l’opinione pubblica e le donne stesse sulle buone pratiche, le strategie, la prevenzione e le terapie per garantire la salute fisica e psicologica delle future mamme.

Ingredienti “standard”

Ora che abbiamo compreso cosa vuol dire “maternità positiva”, possiamo parlare degli ingredienti che la compongono.

Gli ingredienti principali sono ovviamente:

  • una donna;
  • uno (o più) bebé in arrivo;
  • il parto: può essere fisiologico, operativo o cesareo. È un momento particolare che separa nettamente un prima in cui il bambino è dentro di te da un dopo in cui il bambino è fuori di te.

Altri ingredienti, non indispensabili ma che possono risultare molto utili, sono:

  • la presenza di un partner di supporto;
  • una rete di supporto (familiari, amici) che sappia sostenere e aiutare la donna senza essere invadente, concedendo la giusta autonomia;
  • un contesto sociale che offra risorse utili e accessibili (ad esempio il servizio sanitario pubblico).

Procedimento per una maternità positiva

Come nelle migliori ricette, ecco quindi di seguito un elenco dettagliato di passaggi davvero fondamentali per vivere questa fase della vita nel miglior modo possibile.

Durante tutta la maternità

Sfrutta le risorse che hai a disposizione per prenderti cura del benessere fisico tuo e del tuo bambino (procedure di prevenzione, screening, visite mediche, analisi del sangue, vaccini, …).

Instaura una connessione ed una relazione di cura con il tuo bambino.

Assicurati di avere a disposizione le risorse (interne ed esterne) per affrontare eventuali imprevisti, anche negativi, con capacità di adattamento.

In gravidanza

Affronta in modo maturo, attivo e consapevole i cambiamenti e gli eventuali problemi fisici, psicologici e relazionali che la gravidanza e il parto comportano. Se c’è un problema, non nascondere la testa sotto la sabbia: informati e chiedi aiuto!

Sfrutta questo momento per prepararti al parto e all’arrivo del bambino, non solo dal punto di vista pratico, ma anche psicologico.

Durante il parto

Preparati nel miglior modo possibile per il travaglio ed il parto:
informati sulle fasi del parto e sulle procedure ostetrico-ginecologiche a disposizione
– impara a gestire il dolore delle contrazioni
– informati sulla violenza ostetrica e come affrontarla
– scegli per tempo chi si prenderà cura di te in questo momento e impara ad affidartici (con il giusto spirito critico).

Dopo il parto

Informati e fai le tue scelte riguardo all’allattamento, ma sii flessibile.

Segui il programma di controlli post-partum che ti viene consigliato da chi ti ha seguita durante la gravidanza e il parto.

Impara a riconoscere i sintomi dei disturbi del post partum (baby blues, depressione, PTSD, psicosi) per chiedere aiuto nel caso si presentassero.

I tre ingredienti segreti di una maternità positiva

Chissà, ogni tanto vi sarà capitato di assaggiare un piatto e dire: “Questo piatto è proprio speciale!”, cercando di indovinare qual è quell’ingrediente che gli dà quel tocco in più. Allo stesso modo, a volte ci si trova davanti a donne che vivono naturalmente la maternità in un modo davvero speciale, e ci si chiede “Ma come fanno?”.

L’OMS indica esplicitamente tre “ingredienti segreti” (che poi tanto segreti non sono!) da inserire nella ricetta perfetta per una maternità positiva. Questi ingredienti facilitano tutti i passaggi del procedimento descritto nel paragrafo precedente (e in generale sono ottimi pilastri su cui basare la propria vita).

Un buon livello di autostima materna.

Saperci fare come mamma (o competenza materna).

Essere capace di fare scelte autonome come madre.

Se sei curiosa di capire meglio come vivere una maternità positiva, leggi subito come migliorare l’autostima materna!

FONTI

https://www.who.int/reproductivehealth/intrapartum-care/en/

http://www.euro.who.int/en/health-topics/Life-stages/maternal-and-newborn-health/activities-and-tools/effective-perinatal-care-epc-training-package/epc-training-maternal-health-modules-modules-mo/1mo.-antenatal-care

Downe S, Finlayson K, Tunçalp Ӧ, Metin Gülmezoglu A. “What matters to women: a systematic scoping review to identify the processes and outcomes of antenatal care provision that are important to healthy pregnant women“. BJOG. 2016;123(4):529‐539. doi:10.1111/1471-0528.13819

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Hypnobirthing o Training Ipnotico al Parto?

hypnobirthing

Leggi questo articolo se vuoi capire la differenza tra hypnobirthing e Training Ipnotico al Parto.

Cosa sono hypnobirthing e Training Ipnotico al Parto

Per hypnobirthing si intende l’uso di tecniche ipnotiche durante il travaglio. Nei corsi di hypnobirthing si insegnano alle donne tecniche di vario tipo (tra cui visualizzazioni, uso di affermazioni sulla gravidanza e sul parto, rilassamento, respirazioni profonde, auto-ipnosi e mindfulness) che potranno essere utilizzate durante il travaglio per gestire il dolore e lo stress emotivo del momento. In questo sistema, la donna durante il travaglio utilizza l’auto-ipnosi come se fosse un farmaco.

Nel Training Ipnotico al Parto la donna in dolce attesa viene preparata dal terapeuta nelle settimane precedenti il parto, mediante una psico-educazione sulle varie fasi del travaglio e mediante tecniche ipnotiche il cui obiettivo è agire ad un livello profondo. L’ipnosi indotta dal terapeuta (etero-ipnosi) viene quindi usata durante il Training per rendere la donna autonoma nel gestire le proprie sensazioni corporee e modulare la percezione del dolore, che viene spogliato da ogni sua componente ansiosa e psicologica.

Hypnobirthing e Training Ipnotico al Parto: punti in comune

L’origine storica

Padre inconsapevole dell’hypnobirthing e del training ipnotico al parto fu un ginecologo inglese, Grantly Dick-Read (1890-1959). Egli divulgò in tutto il mondo le sue idee innovative ed all’avanguardia sul parto naturale con il libro “Childbirth Without Fear: The Principles and Practice of Natural Childbirth” (1942).

In un’epoca in cui era estremamente diffuso l’utilizzo di analgesia ed anestesia durante il parto, egli affermò in base alle sue osservazioni che un parto naturale (non complicato) senza dolore era possibile, tenendo in considerazione lo stato emotivo della donna in gravidanza. Mise così a fuoco la rilevanza della componente psicologica del dolore nel travaglio.

La descrizione delle tecniche usate da Grantly Dick-Read corrispondeva invece esattamente alle modalità con cui un ipnoterapeuta moderno induceva lo stato di trance. L’innovatività scientifica dei concetti divulgati da Dick-Read e le similitudini del suo metodo con l’ipnosi moderna attrassero quindi gli ipnoterapeuti europei dell’epoca.

In Italia Giampiero Mosconi (1921-2010), fondatore dell’Associazione Medica Italiana Studi sull’Ipnosi (AMISI) e della Scuola Europea di Psicoterapia Ipnotica (SEPI), accolse e sviluppò queste idee. Egli praticò nel 1957 il primo parto in ipnosi e l’anno successivo la prima laparotomia in ipnosi. Fu così che nacque l’ipnostetricia.

Nel tempo Mosconi comprese che l’ipnosi non avrebbe dovuto essere usata per dissociare totalmente la donna in travaglio. Sarebbe stato più utile per la donna partorire modulando il proprio stato di coscienza. Avrebbe potuto così cogliere quei segnali interni che indicano i vari momenti del parto e rispondervi in autonomia. Questo le avrebbe permesso di vivere attivamente il proprio travaglio.

Fu così che, a partire da un utilizzo quasi farmacologico dell’ipnosi come anestetico, si sviluppò l’idea di un training ipnotico al parto.

Gli obiettivi

Indubbiamente hypnobirthing e Training Ipnotico al Parto condividono i seguenti obiettivi:

  • permettere alla donna di sentirsi coinvolta attivamente nella nascita del proprio figlio;
  • consentire alla donna di avere un senso di controllo e consapevolezza della situazione;
  • ridurre l’ansia;
  • permettere il controllo del dolore.

Differenze tra hypnobirthing e Training Ipnotico al Parto

Diffusione geografica

Il training ipnotico al parto in Italia vanta quindi una storia ben radicata, eppure la sua diffusione non è ancora capillare.

L’hypnobirthing è invece diffuso negli Stati Uniti ma soprattutto nel Regno Unito. Qui è adottato dal sistema sanitario nazionale (NHS) come preparazione al parto per il controllo del dolore.

Il ruolo dell’ipnosi

Mentre nei corsi di hypnobirthing vengono insegnate delle tecniche di auto-ipnosi che servono alla donna a gestire il dolore nel momento del travaglio, durante le sedute di Training Ipnotico al Parto la donna vive i futuri momenti del travaglio e del parto posta in uno stato di trance ipnotica, guidata dal terapeuta (etero-ipnosi). L’ipnosi è quindi usata nel Training Ipnotico come un metodo psicologico di preparazione al parto. Vivendo queste esperienze in stato di trance ipnotica la donna diventa in grado di

  • riconoscere le proprie sensazioni corporee e rispondervi adeguatamente
  • essere consapevole dei propri bisogni in modo puntuale
  • acquisire tecniche di gestione del dolore
  • ridurre e gestire ansia, paura ed insicurezza (responsabili di vissuti traumatici durante il parto).

Con il Training Ipnotico al Parto la donna vivrà così un percorso che la renderà più consapevole di se stessa e delle sue capacità innate di partorire, permettendole di vivere attivamente il parto ed esserne protagonista, equilibrando eventuali disfunzioni emozionali, avviando la genitorialità, prevenendo la temuta depressione post-partum e l’insorgenza di disturbo post traumatico da stress correlato al parto.

Le qualifiche del trainer

Nel Regno Unito e negli US ci sono molti corsi, della durata di alcuni giorni, che permettono di ottenere il certificato di insegnante di hypnobirthing senza particolari prerequisiti. Alcuni degli insegnanti certificati da tali corsi operano anche in Italia.

Il Training Ipnotico al Parto deve essere invece obbligatoriamente svolto da un professionista sanitario (laureato in medicina o psicologia, specializzato in psicoterapia ed iscritto al relativo ordine professionale) qualificato nell’utilizzo clinico dell’ipnosi. Questo garantisce alla donna che si approccia al Training Ipnotico al Parto una personalizzazione dell’esperienza con alti standard qualitativi e di sicurezza in caso di problematiche emozionali.


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FONTI

Ipnosi neo-ericksoniana: la psicoterapia e il training ipnotico, Giampiero Mosconi, 2008

https://www.nct.org.uk/labour-birth/getting-ready-for-birth/hypnobirthing-where-start

Beevi Z, Low WY, Hassan J. The Effectiveness of Hypnosis Intervention for Labor: An Experimental Study. Am J Clin Hypn. 2017;60(2):172-191. doi:10.1080/00029157.2017.1280659

Oster MI. Psychological preparation for labor and delivery using hypnosis. Am J Clin Hypn. 1994;37(1):12-21. doi:10.1080/00029157.1994.10403105

Landolt AS, Milling LS. The efficacy of hypnosis as an intervention for labor and delivery pain: a comprehensive methodological review. Clin Psychol Rev. 2011;31(6):1022-1031. doi:10.1016/j.cpr.2011.06.002

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Li ringrazio di cuore per la loro disponibilità.

Il segreto professionale

Cos’è il segreto professionale?

Un medico psicoterapeuta è tenuto, sia dal punto di vista deontologico che giuridico, a mantenere il segreto su tutto ciò di cui è a conoscenza in ragione della propria attività professionale. Questo significa che qualunque cosa un paziente mi riveli, questa rimarrà tra di noi (anche nel caso di paziente minorenne) e non verrà rivelata nemmeno ai familiari del paziente o ad un giudice in sede processuale, a meno che il paziente stesso non indichi esplicitamente il proprio consenso.

Il medico inoltre è tenuto a mantenere il segreto professionale in seguito alla sospensione, radiazione o cancellazione del medico stesso dall’albo professionale e anche in seguito al decesso del paziente.

Ci sono delle eccezioni?

Sì, il segreto professionale può essere rivelato senza il consenso del paziente solo ed esclusivamente:

  • se il professionista si rivolge a dei colleghi (anch’essi tenuti al segreto professionale) per un consulto finalizzato al miglior trattamento del paziente stesso;
  • se c’è una giusta causa, ovvero una circostanza in cui la rivelazione trova una giustificazione legale, deontologica o morale. Se ad esempio il professionista ha ragione di credere che la vita o la salute psicofisica del soggetto e/o di terze persone possa essere messa in grave pericolo, ha la facoltà di rompere il segreto professionale.

Legislazione sul segreto professionale

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