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Il trauma

trauma

Cos’è un trauma?

Trauma deriva dal greco τραῦμα. Significa ferita.

In psicologia un trauma è un turbamento dello stato psichico, prodotto da un evento di notevole carica emotiva (cit. vocabolario Treccani).

Esistono due categorie di traumi:

  • Grandi traumi. Sono eventi trasversalmente riconosciuti come disturbanti. Sono caratterizzati da un’elevata percezione di pericolo. Ad esempio:
    • Eventi che ci espongono alla morte di una persona.
    • Eventi che ci espongono ad una minaccia per l’incolumità fisica nostra o altrui (ad esempio un incidente, violenze fisiche, guerra, pandemia, atti terroristici, disastri naturali come terremoto o tsunami…).
  • Piccoli traumi. Sono eventi che vengono soggettivamente vissuti come disturbanti. La percezione di pericolo non è particolarmente intensa. Parliamo ad esempio esperienze di umiliazione, la vergogna per una brutta figura, la percezione di essere abbandonati, la violenza psicologica, il bullismo, metodi educativi estremamente rigidi utilizzati dai genitori o da insegnanti …
Trauma

Gli esseri umani rispondono a queste due categorie con le medesime reazioni fisiologiche da stress.

Perché alcuni eventi traumatici ci segnano così tanto?

La mente dell’essere umano ha due tendenze contrapposte.

Da una parte tendiamo ad auto-risolvere ed integrare nella nostra esperienza psichica la maggior parte delle esperienze traumatiche (circa l’80%). Questo ci permette di poter “andare oltre” e continuare a vivere la nostra vita.

D’altra parte conserviamo un meccanismo per cui alcuni eventi traumatici rimangono “congelati” nella nostra memoria. Essi si ripresentano come ricordi traumatici accompagnati da disturbi specifici. Probabilmente questo meccanismo è rimasto perché evolutivamente utile. Ci ricorda infatti l’importanza di evitare in futuro situazioni rischiose come quella che ci ha provocato il trauma .

Perché soffro ancora per un trauma che un’altra persona ha già superato?

Trauma non elaborato

Non è strano che persone diverse metabolizzino in modo diverso il medesimo trauma. Il processo spontaneo può impiegare più o meno tempo. Il recupero può essere completo o parziale. I sintomi possono essere da lievi a molto invalidanti (come nel PTSD, Disturbo da Stress Post-Traumatico, o nell’instaurarsi di un funzionamento dissociativo).

Questo dipende da molti fattori:

  • Dal tipo di trauma.
  • Dall’esperienza di vita della singola persona e dalla sua personalità. Essi determinano infatti il “filtro” con cui ciascuno di noi vive gli eventi della vita.
  • Dal contesto socio-culturale in cui vive la persona.
  • Dall’aver ricevuto o meno un trattamento per il trauma subito.

Perché è importante il trattamento del ricordo traumatico?

È preferibile trattare il trauma precocemente. Si evitano così modifiche permanenti di alcune parti del cervello (in particolare amigdala e ippocampo). Questo renderebbe infatti più difficilmente reversibile la risoluzione completa di eventuali sintomi.

Trattare un trauma permette alla persona di:

  • Integrare l’esperienza traumatica nella propria vita intrapsichica.
  • Risolvere i sintomi legati al trauma.
  • Approfondire la conoscenza di se stessi e dei propri meccanismi interni.
  • Favorire la propria crescita personale.

Come trattare un trauma?

La migliore opzione per trattare un trauma è rivolgersi ad un professionista della salute mentale (medico o psicologo psicoterapeuta) regolarmente iscritto al proprio Albo Professionale.

La tecnica psicoterapica più efficace attualmente disponibile per trattare un trauma è l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing). A seconda del caso, il terapeuta può proporre di associare all’EMDR altre tecniche, come l’ipnosi, e/o una terapia farmacologica appropriata.

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EMDR: come funziona

EMDR: come funziona? Cosa sperimenta un paziente durante e alla fine del trattamento? Leggi questo articolo per scoprirlo!

Cos’è l’EMDR?

EMDR è un acronimo che sta per Eye Movement Desensitization and Reprocessing. Significa “desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari”.

È una tecnica terapeutica strutturata. Consiste nell’individuazione e nella rielaborazione dei ricordi traumatici responsabili dei disturbi psicologici del paziente. Questi ricordi sono “congelati” nella memoria del paziente.

Varie associazioni e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (2013) riconoscono ad oggi questo metodo (scoperto dall’americana Francine Shapiro nel 1987) come un trattamento efficace per elaborare i traumi e curare i disturbi ad essi correlati. Una grande quantità di ricerche scientifiche ne hanno validato l’efficacia.

EMDR come funziona

EMDR: come funziona?

Il percorso psicoterapeutico con la tecnica EMDR si sviluppa in più fasi:

  1. Lo psicoterapeuta raccoglie la storia del paziente con domande mirate e specifiche.
  2. Paziente e terapeuta individuano i traumi che hanno portato alla comparsa della sintomatologia.
  3. Il terapeuta desensibilizza i ricordi traumatici mediante una specifica procedura che comprende stimolazioni bilaterali alternate. In genere viene chiesto al paziente di seguire con gli occhi le dita del terapeuta, che si muovono da un estremo all’altro del suo campo visivo (ma esistono anche altri tipi di stimolazione bilaterale alternata). Questa procedura permette di “scongelare” il ricordo traumatico.
  4. Il ricordo viene quindi rielaborato in modo più adattivo mediante la riprogrammazione, attuata sempre tramite stimolazioni bilaterali alternate.
EMDR: effetti

Cosa succede al paziente durante l’EMDR?

Durante la stimolazione bilaterale alternata, il terapeuta chiede al paziente di mantenere l’attenzione sia sul ricordo traumatico, sia di osservare ciò che accade dentro di sé durante la stimolazione.

Il paziente inizia così a sperimentare una serie di sensazioni fisiche, emozioni, ricordi, percezioni, pensieri, insight concatenati gli uni agli altri.

Mentre il paziente vive questo processo, guidato dal terapeuta, la carica emotiva del ricordo diviene sempre meno disturbante e sempre più funzionale al benessere psicologico del paziente.

Alla fine dell’elaborazione, che può richiedere una o più sedute per ogni singolo ricordo traumatico, il paziente sente di aver finalmente “lasciato andare” il trauma.

Questo porta a sensazioni di sollievo, di calma, di tranquillità, di forza, di speranza, di nuova consapevolezza di se stesso.

L’elaborazione della serie di ricordi traumatici individuati dal paziente assieme al terapeuta porta il paziente a sperimentare man mano il cambiamento desiderato.

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Prepararsi al parto con l’ipnosi: le esperienze

prepararsi al parto con l'ipnosi

Queste mamme hanno deciso di prepararsi al parto con l’ipnosi, raccontare la loro esperienza e condividere le loro riflessioni sull’utilità del percorso fatto. In sintesi: consigliano caldamente il Training Ipnotico al Parto!

SARA G.: grazie alla preparazione al parto con l’ipnosi ho partorito con serenità e senso di competenza

Ho conosciuto la dottoressa Delpin al settimo mese della mia prima gravidanza, in un momento di grande ansia per il parto ormai prossimo. Pur avendo seguito il corso preparto offerto dalla mia ASL e avendo letto diversi libri, molti erano i dubbi e le ansie relative al parto, perciò l’aiuto fornito dall’ipnoterapia si è dimostrato fondamentale.

Nelle sei sedute che ho effettuato ho trovato uno spazio dove fermarmi e ascoltarmi (cosa non così facile in un momento di tanto affaccendamento per la nascita ormai prossima), dove condividere i miei timori e le mie aspettative e, soprattutto, uno spazio dove acquisire tecniche che si sono rivelate preziosissime. Ritengo infatti che sia merito della Dottoressa Delpin se sono arrivata a vivere il travaglio con grande serenità e con una sensazione di competenza, scaturite dal lavoro svolto insieme e mirato ad avere fiducia nella mie capacità biologicamente innate. Le tecniche apprese mi hanno aiutata nell’impresa da me auspicata di partorire senza sentire il bisogno di ricorrere all’epidurale, nel pieno rispetto della fisiologia e con serenità. Mi sento quindi di consigliare a tutte le donne in dolce attesa e che desiderino un aiuto nella gestione della paura per il parto l’ipnosi con la dottoressa Delpin.

MICHELA: la tranquillità nonostante la fobia per gli aghi

Grazie al training ipnotico al parto sono riuscita ad affrontare il parto cesareo e la degenza consecutiva in tranquillità, nonostante la mia fobia per gli aghi e le procedure mediche.

PAOLA: un parto veloce

L’esperienza del training ipnotico al parto è stata piacevole, utile a prefigurarmi a cosa sarei andata incontro e a prepararmi bene. Non so se è del tutto merito del training ipnotico ma ho avuto un travaglio attivo e parto molto veloci e senza lacerazioni.

SARA: ho ricevuto i complimenti dell’ostetrica!

Scrivo con grande piacere una testimonianza del mio percorso svolto con la Dott.ssa Delpin per ringraziarla ma soprattutto per tutte coloro che devono prepararsi al grande evento del parto e che stanno valutando di prepararsi al parto con l’ipnosi con Anna Delpin. Grazie alla preparazione fatta (online) ho potuto affrontare il mio primo parto con una serenità che, oltre ad aver fatto andare tutto per il meglio, ha anche accelerato tutto lo svolgimento in quanto il mio corpo collaborava in sincronia con gli sforzi di venire al mondo del mio piccolo ed abbiamo ricevuto anche i “complimenti” da parte dell’ostetrica che ci ha seguiti.

Avrei potuto scegliere di fare la preparazione al parto con un professionista più vicino alla mia residenza e pertanto dal vivo, ma ho comunque preferito la dott.ssa Delpin (che mi aveva già aiutata in un momento di blocco nella scrittura della mia tesi di specialità) in quanto quello che la differenzia dagli altri, oltre alla professionalità in ambito psicoterapeutico, è la sua formazione in ambito medico: oltre a prepararmi con le induzioni ipnotiche è stata in grado di rispondere a tutte le mie domande e i dubbi più specifici legati al pre-parto, al parto e anche al post-parto. Se state pensando se ne valga la pena, per quella che è la mia esperienza dico che è quasi indispensabile!

GIULIA: preparandomi al parto con l’ipnosi sono riuscita a gestire paura e panico

Ho avuto un travaglio lungo e gestito praticamente da sola (con il solo aiuto di mio marito). È stata un’esperienza forte e non semplice ma sono riuscita a gestirla nel modo migliore, senza essere sopraffatta da paura e panico. Pensavo, durante la gravidanza, che non sarei stata in grado di fare tutto ciò. Invece, grazie alla preparazione fatta attraverso il training, ci sono riuscita.

FRANCESCA: ce l’ho fatta nonostante un cesareo d’urgenza

Cara Dottoressa,
a distanza di vari mesi dal mio parto volevo ringraziarla di cuore per il supporto che mi ha dato con il suo corso di training ipnotico al parto. Ricordo ancora il terrore e l’ansia di non farcela che avevo prima del parto. Grazie alla preparazione fatta insieme, ho potuto gestire al meglio le mie paure permettendomi di vivere con tranquillità le ultime settimane di gravidanza ed affrontare il parto con grande serenità. Questo percorso mi ha permesso di acquisire delle competenze che si sono dimostrate preziose durante il travaglio ma anche nei giorni successivi (avendo dovuto affrontare un cesareo d’urgenza).
Consiglio davvero a tutte le mamme in dolce attesa di fare questo percorso con la Dottoressa Anna Delpin che è una persona molto preparata e professionale, oltre che estremamente disponibile.
Grazie ancora Dottoressa, credo che senza di lei tutto sarebbe stato più difficile.

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Caffeina in gravidanza e allattamento: tutto quello che devi sapere!

Caffeina in gravidanza e allattamento

Tutta l’evidenza scientifica attualmente disponibile sull’uso di caffeina in gravidanza e allattamento riassunta in 5 punti cardine. Ecco tutto quello che devi sapere:

  1. La caffeina non si trova soltanto nel caffè, ma anche in numerosi altri prodotti alimentari, farmaceutici e cosmetici: soprattutto tè, cacao, bevande energetiche (ma non solo, anche in bevande analcoliche, barrette proteiche, integratori, cosmetici e farmaci!).

  2. Gli effetti della caffeina sul tuo organismo dipendono sia dalla tua sensibilità individuale a questa sostanza, sia dal suo livello nel sangue: in linea di massima, bassi livelli corrispondono a effetti positivi, mentre alti livelli portano a effetti negativi. La concentrazione di caffeina nel sangue è determinata dall’equilibrio fra la dose che assumi e la capacità del tuo organismo di metabolizzarla.

  3. Se sei in gravidanza, metabolizzi la caffeina molto più lentamente, quindi anche dosi relativamente basse possono causare alti livelli di concentrazione nel sangue e portare a effetti negativi. Inoltre, superando la barriera placentare, la caffeina arriva al feto (che non è in grado di metabolizzarla!) e ad alte dosi può rallentarne la crescita o anche aumentare il rischio di aborto spontaneo.

  4. Anche se ad un mese dal parto il tuo metabolismo della caffeina è ritornato normale, durante l’allattamento questa sostanza passa nel latte e può dare effetti negativi al tuo bambino (che nei primi sei mesi di vita la metabolizza ancora lentamente). Assumendo caffeina, il bambino può manifestare nervosismo, irrequietezza e disturbi del sonno.

  5. Cosa puoi fare per evitare problemi con la caffeina in gravidanza e allattamento?
    • Comprendi il tuo grado di sensibilità alla caffeina: quali effetti ti provoca? Sopra quale quantità e frequenza ti causa effetti negativi?
    • Impara a calcolare quanta caffeina assumi durante la giornata.
    • Non superare la quantità di caffeina che crea problemi a te o al tuo bambino, comunque tieniti sotto la dose di sicurezza raccomandata di 200 mg al giorno (l’equivalente di due tazzine di espresso).
Leggi tutto “Caffeina in gravidanza e allattamento: tutto quello che devi sapere!”

Ho paura del parto, aiuto! (Sarò mica tocofobica?)

paura del parto

Nel mondo occidentale una donna incinta su cinque ha paura del parto. Ma questa paura non colpisce solo le donne in stato interessante: si stima che a livello mondiale il 14% delle donne in età fertile abbia paura di partorire.

La paura del parto è un disturbo di tipo ansioso. Si può presentare con diversi livelli di severità, dal grado più lieve ad una forma grave e invalidante: la tocofobia (dal greco: tokos= parto + fobos = paura).

La paura del parto può essere:

  • primaria: può manifestarsi anche prima di rimanere incinta, fin dall’età adolescenziale.
  • secondaria: è conseguente a precedenti esperienze ostetriche traumatiche oppure alla depressione in gravidanza.
paura del parto

Perché insorge la paura del parto?

Fattori predisponenti

Ci sono dei fattori che possono predisporti alla paura del parto. In particolare possono essere fattori:

  • biologici, come la giovane età e avere una ridotta tolleranza al dolore.
  • psicologici, come essere una persona ansiosa, avere una bassa autostima, essere poco assertiva, soffrire di disturbi psichiatrici non correlati alla gravidanza, soffrire di depressione o altri problemi psicologici insorti in gravidanza, aver avuto esperienza di abuso sessuale o problemi sessuali, non avere adeguate conoscenze sulla gravidanza e sul parto.
  • ambientali: subire molto stress quotidianamente durante la gravidanza.
  • socio-relazionali: non avere supporto sociale, non avere un lavoro, avere un rapporto di coppia insoddisfacente, non convivere con il padre del bambino.

Cosa c’è dietro alla paura del parto

Gli studi hanno rilevato che la paura del parto ha origine multifattoriale. In particolare, le seguenti motivazioni sono alla base dell’insorgenza di questa paura:

  • Fobia del dolore e la convinzione di avere una bassa tolleranza alla sofferenza.
  • Paura che si riattivino eventi traumatici del passato (abusi, abbandoni).
  • Precedenti esperienze ostetriche negative che sono risultate traumatiche: parto traumatico (anche se può essere considerato normale dal punto di vista ostetrico), aborto spontaneo, morte fetale, interruzione volontaria di gravidanza.
  • Paura di essere incapace di dare la vita.
  • Il futuro padre del nascituro manifesta ansie e preoccupazioni.
  • Fobia di diventare madre.
  • Trasmissione familiare, anche attraverso le generazioni, del messaggio che il parto è un evento pericoloso, da temere.
  • Paura di vivere momenti di panico o perdita di controllo durante il parto.

Conseguenze della paura del parto

Le conseguenze della paura del parto si possono suddividere a seconda del momento temporale in cui avvengono.

Prima del parto

Le donne che hanno paura del parto tendono ad usare meticolosamente metodi anticoncezionali per evitare di rimanere incinta (anche se sentono il desiderio di avere un figlio). Alcune si sottopongono alla legatura delle tube o richiedono al partner di sottoporsi a vasectomia.

Nel caso in cui rimangano incinte, alcune donne affette da severa tocofobia hanno un disagio interiore talmente forte da scegliere di interrompere volontariamente la gravidanza al fine di evitare il parto.

Altre donne con paura del parto richiedono al ginecologo di programmare un taglio cesareo elettivo, anche se non ci sono indicazioni mediche. La possibilità di fare questa scelta è un argomento ancora controverso e dibattuto. Quando una donna presenta al ginecologo questa richiesta, deve essere ben informata sui benefici ed i rischi del parto cesareo elettivo. Rispetto al parto fisiologico, il cesareo d’elezione comporta, oltre ad una degenza ospedaliera più lunga, una aumentata incidenza di complicanze materne a breve termine, in particolare emorragie, isterectomia peripartum ed arresto cardiaco.

Durante il parto

Durante il parto, le donne con tocofobia presentano più alti livelli di ansia.

L’ansia aumenta la produzione di cortisolo, che devia la circolazione sanguigna dall’utero, accentua i dolori e riduce la produzione di ossitocina. Questa è essenziale nell’avviare e mantenere il travaglio, quindi il travaglio nella donna in preda alla paura può rallentare o addirittura interrompersi.

L’ansia nella donna può poi comportare ridotto apporto di ossigeno e nutrienti attraverso la placenta.

La madre che ha una grande sofferenza emotiva durante il parto tende inoltre a comportarsi in modo difensivo e/o aggressivo, invece che collaborativo. Questo ostacola il suo essere attiva nell’accompagnare alla nascita il bambino.

Infine, se alla madre vengono somministrati durante il travaglio farmaci per alleviare i sintomi ansiosi, questi possono influenzare anche il neonato.

Dopo il parto

L’ansia materna può causare un incremento dell’irritabilità e irrequietezza del bambino subito dopo la nascita.
Inoltre è correlata a ritardo nello sviluppo mentale e motorio a 8 mesi.
Vi sono infine evidenze che l’ansia materna renda il bambino più sensibile e vulnerabile all’ansia e ai disturbi depressivi in infanzia ed età adulta.

paura del parto

Soffri di tocofobia?

Di seguito troverai un elenco di situazioni che accomunano le donne che soffrono di tocofobia. Tuttavia, questo elenco ha esclusivamente uno scopo orientativo e non sostituisce una diagnosi fatta da un professionista della salute mentale.

Potresti soffrire di tocofobia se…

  • Fai incubi sul parto.
  • Ti lamenti molto dei disagi fisici della gravidanza.
  • Hai difficoltà di concentrazione sul lavoro o nelle attività domestiche.
  • Hai paura del dolore, delle ferite ostetriche, del taglio cesareo d’emergenza, dell’incompetenza dello staff, di morire durante il parto, di dare alla luce un bambino con problemi fisici o con una malformazione congenita.
  • Credi fermamente che il parto fisiologico sarebbe estremamente doloroso e sicuramente traumatico, ed eviti accuratamente di rimanere incinta (anche se lo desidereresti molto). Oppure, se sei già in dolce attesa, vorresti sottoporti ad una interruzione volontaria di gravidanza o ad un taglio cesareo programmato per evitare di partorire in modo fisiologico.
  • Hai paura che la gravidanza o il parto riattivino delle precedenti esperienze traumatiche (un abuso o un parto traumatico).

Cosa posso fare se ho paura del parto?

Innanzitutto rivolgiti ad un professionista della salute mentale (psicologo, psichiatra, psicoterapeuta) che possa aiutarti ad inquadrare la tua paura e fare eventualmente una diagnosi puntuale.
In seguito alla diagnosi, potresti ricadere in una delle seguenti situazioni.

Ho una lieve o moderata paura del parto

Sappi che sei in grado di fronteggiare autonomamente le tue ansie e le tue paure.
Come? Cercando informazioni, trovando sostegno all’interno della tua rete sociale o rivolgendoti al tuo medico di fiducia.
È importante che parli dei tuoi sentimenti (anche se non sei abituata o se pensi che non sia nel tuo carattere farlo) e che aumenti le tue conoscenze sulla gravidanza e sul parto. Per fare questo, la preparazione al parto è una fonte preziosa di aiuto.

Qualora, nonostante tutto questo, la tua situazione dovesse non migliorare, rivolgiti ad uno psicoterapeuta per ottenere l’aiuto di cui hai bisogno.

Soffro di tocofobia

Se la paura del parto è particolarmente invalidante, ti sarà utile rivolgerti al più presto ad uno psicoterapeuta per lavorare su più livelli:

Elaborare eventuali traumi pregressi: una tecnica utile a questo scopo è l’EMDR, che consente di elaborare i traumi in tempi rapidi.
– Trattare una eventuale depressione con psicoterapia ed eventuale terapia farmacologica.
– Fare un percorso di counseling per scegliere quale è per te il miglior modo per partorire.
– Fare una preparazione al parto mirata e personalizzata, che ti consenta non solo di acquisire tecniche di rilassamento e gestione del dolore, ma anche di raccogliere informazioni su come sarà il parto e acquisire competenze per affrontarlo al meglio in tutte le sue sfaccettature.

guarire dalla paura del parto

FONTI

Saisto T, Halmesmäki E. Fear of childbirth: a neglected dilemmaActa Obstet Gynecol Scand. 2003;82(3):201‐208.

Grussu P., Bramante A. Manuale di psicopatologia perinatale. Erickson ed.; pagg. 205-237

https://www.epicentro.iss.it/materno/LineeGuideCesareo2012

https://www.epicentro.iss.it/materno/pdf/LG_cesareo_comunicazione.pdf

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Migliorare la tua autostima: i 5 step fondamentali

Il parto traumatico

Migliorare la tua autostima: i 5 step fondamentali

Avere una buona opinione di se stessi è importante per proteggere il benessere psicologico. Per questo è utile che tu sappia come migliorare la tua autostima.

L’autostima è, come dice la parola stessa, una “stima di noi stessi”, ovvero una valutazione di quelle che noi crediamo essere le nostre caratteristiche e capacità personali. È importante quindi notare che l’autostima è un giudizio di valore (positivo o negativo) che si basa su qualcosa di soggettivo (cioè su come ci percepiamo) e che ha un influsso emotivo su noi stessi.

Per semplificare, è come se ci guardassimo riflessi ad uno specchio e dicessimo, sulla base di quello che vediamo (non solo dal punto di vista estetico, ma globale): “Vado bene/Non vado bene”.

autostima è un giudizio su ciò che vediamo guardandoci metaforicamente allo specchio

Diamo questo giudizio sulla base della nostra tendenza a conformarci a dei canoni: tendiamo quindi a fare un paragone tra ciò che vediamo allo specchio e ciò che vorremmo vedere, ma non solo! Compariamo la nostra immagine riflessa anche con ciò che, secondo noi, dovremmo vedere.

Perché bisognerebbe migliorare una bassa autostima?

I problemi dell’autostima insorgono nel momento in cui ci diamo un giudizio negativo perché c’è una discrepanza tra come noi ci percepiamo e chi vogliamo essere e/o sentiamo di dover essere. Quanto maggiore è questa discrepanza, tanto più bassa sarà l’autostima.

Se soffri di bassa autostima, puoi ritrovarti in una o più delle seguenti frasi:

  • non ti apprezzi;
  • hai la tendenza ad auto-sabotarti;
  • sei più vulnerabile alle malattie psichiatriche (disturbo depressivo maggiore, episodi maniacali o ipomaniacali, distimia, disordini dissociativi, anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbi di personalità borderline, narcisistico ed evitante);
  • adotti comportamenti che comportano problemi sociali (ad esempio comportamenti violenti);
  • adotti comportamenti che mettono a rischio la tua salute e la tua vita (ad esempio gesti impulsivi oppure abuso di sostanze stupefacenti).

Queste condizioni portano a grande sofferenza psicologica e spesso anche a problemi di natura relazionale, legale, di salute. Ecco perché ti conviene migliorare la tua autostima. Nessuno potrà prometterti che sarà facile o veloce, ma è sicuramente possibile.

Come migliorare la tua autostima

Avere una buona autostima è un meccanismo di difesa che promuove il benessere proteggendo l’equilibrio interiore da fattori stressanti e negativi.

Un’autostima positiva infatti è associata al benessere mentale, alla capacità di adattarsi, alla felicità, al successo, alla soddisfazione e alla capacità di riprendersi in seguito a seri problemi di salute.

Avere una buona autostima vuol dire avere dentro di sé una base stabile che ci consente di vivere in modo il più possibile continuativo sentimenti ed emozioni quali:

  • senso di sicurezza;
  • dignità;
  • tranquillità;
  • soddisfazione;
  • entusiasmo;
  • appagamento.

Arrivare ad un’auto-valutazione globalmente positiva su se stessi si può. Bisogna innanzitutto volerlo. E poi bisogna lavorarci, da soli o guidati da uno psicoterapeuta.

Ecco i cinque step fondamentali per migliorare la tua autostima.

1. Assumi il controllo

La tua autostima non potrà mai migliorare se non percepisci di avere il controllo della tua vita.

Questo significa che devi diventare il primo promotore della tua stessa autonomia. Sei tu che decidi cosa è meglio per te, sei tu che hai la capacità di regolarti da solo.

Certo, questo comporta delle responsabilità, e le responsabilità possono spaventare. Ma non delegare a nessuno questi importantissimi compiti. Se seguirai i punti successivi, sarà impossibile sbagliare, e la tua autostima ne trarrà giovamento.

2. Smettila di paragonarti agli altri

Il continuo paragone e confronto con gli altri ha, nella nostra evoluzione personale, un importante ruolo: riconoscendo le somiglianze e le differenze rispetto agli altri, noi ci facciamo un’idea sempre più precisa di noi stessi. La deduzione importantissima che ne consegue è che tu sei unico. E questo non apporta di per sé un valore positivo o negativo. È un dato di fatto.

Capisci quindi che è pericoloso basare la tua autostima sull’essere migliore di qualcuno in qualcosa (ovvero sul risultato, sulla performance)? Perché se è vero che a volte ci possiamo sforzare per fare alcune migliorie, altre volte non possiamo farci nulla! Quindi cederesti il controllo della tua vita ad un fattore esterno.

E se i risultati non arrivano, la tua autostima che fine fa?

Ma poi, quante energie e tempo sprechi nel tentativo di raggiungere un risultato che innalzi (magari temporaneamente) la tua autostima? Energie che sarebbero meglio direzionate nell’attuare i seguenti step per costruirti una solida, buona autostima non basata sulla performance.

3. Distogli l’attenzione dallo specchio e portala dentro di te

Lo specchio che riflette la nostra immagine è composto dalle risposte degli altri alla nostra presenza e ai nostri comportamenti: il ruolo principale lo detengono i genitori (o chi si è preso cura di noi durante l’infanzia), seguiti a ruota dai parenti stretti, dalle altre persone importanti nella nostra vita e poi dagli “altri” in generale.

Gli altri ci permettono di specchiarci

Quindi possiamo dire che impariamo a conoscerci grazie a ciò che vediamo negli occhi di chi ci guarda.

Queste persone ci hanno restituito un’immagine filtrata dalla loro esperienza personale, dai loro gusti, dalle loro opinioni, dai loro valori, dal loro carattere. Se fossero davvero specchi, potrebbero presentare tre caratteristiche potenzialmente letali per la nostra autostima:

  • La superficie dello specchio potrebbe non essere sufficientemente piana: gli altri ci restituiscono qualcosa che può distorcere la realtà.
  • Spesso la superficie dello specchio non sa di essere riflettente: molte persone non sanno che il modo in cui ci rispecchiano può avere influenze pesanti sulla nostra autostima. Chissà quante persone si comporterebbero diversamente se sapessero che quello che trasmettono ai figli tramite le loro reazioni è determinante per accrescerne l’autostima!
  • Purtroppo, a volte, la superficie in cui ci specchiamo può essere rotta: in questo caso non solo ci vediamo distorti, ma potremmo anche non avere una visuale completa. È il caso dei figli di genitori con severe problematiche di personalità, relazionali e psichiatriche, fra i quali la bassa autostima e un senso di Sè frammentario e non integrato sono molto diffusi.

Spesso per orientarci facciamo affidamento su sentimenti, emozioni e pensieri degli altri (i nostri “specchi”), comportandoci in modo da adeguarci alle loro aspettative, ma in questo modo inibiamo l’espressione della nostra personalità e il suo sviluppo. Per avere una sana autostima bisogna invece avere la consapevolezza dei propri sentimenti, delle proprie emozioni e dei propri pensieri. Comincia quindi a conoscere il tuo mondo interiore e a dargli importanza. Chiediti: ma io cosa provo in questa situazione? Cosa ne penso? Cosa mi piace davvero? E, soprattutto, rispondi sinceramente.

Per aumentare la tua autostima devi conoscerti intimamente.

4. Per migliorare la tua autostima, risolvi i tuoi conflitti

Quando senti di essere lontano da ciò che credi di volere e/o dover essere, il giudizio su di te vira verso il negativo. L’autostima quindi si abbassa e si crea dentro di te un conflitto che è fonte di emozioni negative.

Sentire di non essere chi pensiamo di voler essere ci fa sentire frustrati, depressi, delusi.

Sentire di non essere chi crediamo di dover essere ci fa sentire in ansia, in colpa, in imbarazzo, ci fa vergognare.

Per aumentare la tua autostima, risolvi i conflitti fra ciò che pensi di essere e ciò che vuoi/senti di dover essere.

Questo conflitto va risolto per consentirti di migliorare la tua autostima.

Per farlo, la maggior parte delle volte bisogna essere disposti a modificare la propria lista di valori, bisogni e obiettivi. Chiediti innanzitutto se ti appartengono davvero e da dove derivano!

È poi necessario diventare buoni genitori di se stessi: imparare ad accettarsi (anche nelle parti che ci piacciono di meno), non giudicarsi, perdonarsi, ascoltare le proprie emozioni e mettere in luce le proprie qualità positive e i valori che per noi sono importanti. Insomma, in poche parole, volersi bene e darsi il permesso di esistere per quello che si è.

Presta attenzione ad un possibile errore: accettarsi non significa necessariamente darsi la propria approvazione (“Bravo! Non potevo fare di meglio!”) oppure avvallarsi in modo passivo (“Continuo a fare questo perché non sono capace di fare altro”), ma vuol dire avere la consapevolezza di ciò che si è, di ciò che si può migliorare e di ciò che invece fa intimamente parte di noi e al massimo si può gestire o controllare.

5. Scegli con cura i tuoi specchi

Per permetterti di avere una autostima positiva è importante comprendere che l’immagine riflessa dallo specchio non è mai obiettiva, e che la strategia migliore da seguire è imparare a conoscerti profondamente, accoglierti e accettarti per come sei. Però le relazioni umane ed il confronto con gli altri fanno parte della quotidianità: quindi come puoi gestire i tuoi “specchi”?

Se non hai avuto la fortuna di avere dei genitori che ti hanno fatto sentire accolto per come sei, puoi intanto riconoscere e accettare che in passato ti sei guardato in uno specchio deformato o rotto. Puoi cercare di capire in che modo questo ha distorto la tua immagine, e questa consapevolezza ti sarà di grande aiuto. Ma il passato non si può cambiare.

Nel presente, invece, puoi decidere di scegliere e dare importanza a quegli specchi che ti rimandano un’immagine che ti fa sentire bene con te stesso. Sto parlando di quelle persone che ti fanno sentire accettato, delle quali percepisci la simpatia, il supporto ed il calore gratuiti. Attenzione alla clausola della gratuità: chi ti regala queste sensazioni non deve volere niente in cambio. In caso contrario rischi di cadere nella trappola di un manipolatore: una persona che ha il bisogno di controllare gli altri. Tu però vuoi mantenere saldamente il controllo della tua vita, per poter migliorare la tua autostima.

Per aumentare la tua autostima scegli di dare importanza alle persone che ti fanno sentire gratuitamente accettato.

FONTI

Higgins ET, Bargh JA. “Social cognition and social perception”. Annu Rev Psychol. 1987;38:369‐425. doi:10.1146/annurev.ps.38.020187.002101

L. Festinger. A Theory of Social Comparison Processes. 1954

C. Rogers. Client-Centered Therapy. 1951

M. Rosemberg. “Self Esteem Scale”. 1965

Pilar Mallor e Manuel Villegas. “El Narcisismo Y Sus Modalidades”. 2010

Mann M, Hosman CM, Schaalma HP, de Vries NK. “Self-esteem in a broad-spectrum approach for mental health promotion”. Health Educ Res. 2004;19(4):357‐372. doi:10.1093/her/cyg041

Il parto traumatico

parto traumatico

Il mio parto è stato traumatico

Fra le donne che hanno partorito, una su tre (il 33%) riferisce di aver vissuto un parto traumatico. Questo può accadere perché la donna ha sperimentato:

  • una situazione oggettivamente traumatica in cui la vita o l’integrità fisica di mamma e bimbo sono stati davvero a rischio (come un parto operativo o cesareo d’emergenza);
  • eventi percepiti soggettivamente come traumatici, anche se il parto è risultato fisiologico dal punto di vista ostetrico.

I disturbi legati all’aver vissuto un parto traumatico si risolvono, nella maggior parte dei casi nell’arco di qualche settimana. Se però noti che continui a stare male anche oltre il primo mese dal parto, potresti soffrire di disturbo da stress post-traumatico correlato al parto: una condizione invalidante che può portare ad un significativo peggioramento della qualità della vita per te e per il tuo bambino.

Soffri di di PTSD correlato a parto traumatico?

Un quarto (25%) delle donne che hanno vissuto un parto traumatico sviluppa in modo conclamato un PTSD (disturbo da stress post-traumatico) manifestando i seguenti sintomi (non necessariamente tutti, ma almeno uno per punto) da più di 30 giorni:

  • Rivivere il parto traumatico con incubi, immagini intrusive, flash-back, percezioni negative e rabbia.
  • Avere paura del parto (o addirittura soffrire di tocofobia); evitare qualsiasi esperienza/oggetto/persona/situazione ricordi il parto traumatico; evitare ulteriori gravidanze o preferire un cesareo elettivo per partorire.
  • Alterazioni dell’umore (diminuzione dell’interesse per le attività; diminuzione nell’espressività delle emozioni; sentirsi alienate, distaccate, provare un senso di estraneità; provare sentimenti persistenti di paura, rabbia, terrore, senso di colpa, vergogna) e della cognizione (problemi di memoria, aspettative e credenze negative persistenti su se stesse) .
  • Disturbi del sonno; difficoltà di concentrazione; aumentata irritabilità, aggressività e reattività; comportamenti autodistruttivi o spericolati.
parto traumatico

Come curare il PTSD correlato al parto

Per le donne che si ritrovano profondamente segnate da un parto traumatico è importante elaborare il prima possibile questo trauma mediante un percorso psicoterapeutico (una delle metodiche d’elezione indicate per il trattamento del PTSD è l’EMDR), affinché l’evento non provochi conseguenze pesanti sulla vita della madre e, quindi, sulla relazione con il bambino. Superare il trauma favorirà così l’instaurarsi di una maternità positiva.

Devo partorire: sono a rischio di sviluppare un PTSD da parto traumatico?

Sei più a rischio di sviluppare un PTSD da parto se:

  • Precedentemente al parto:
    • hai avuto problemi psichiatrici, e in particolare la depressione e/o una precedente storia di PTSD, anche correlati ad un precedente parto traumatico;
    • sei una persona generalmente ansiosa;
    • hai delle patologie correlate alla gravidanza;
    • hai una gravidanza indesiderata;
    • sei stata vittima di violenza sessuale.
  • Durante il parto:
    • hai provato paura per te stessa o per il neonato;
    • hai subito eventi oggettivamente traumatici (come un cesareo urgente o un parto operativo vaginale);
    • desideri fortemente mantenere il controllo;
    • le tue aspettative riguardo alla nascita del tuo bambino vengono deluse;
    • non hai supporto;
    • percepisci un dolore eccessivo e non gestibile durante il travaglio.
  • Successivamente al parto:
    • non hai supporto da parte di famiglia e amici ;
    • il tuo bambino presenta dei problemi (in particolare se il suo peso alla nascita è inferiore a 1 Kg).

Come prevenire il PTSD correlato al parto

È vero che alcuni fattori che predispongono ad avere un parto traumatico e un conseguente disturbo da PTSD sono non modificabili e non prevedibili, ma si può comunque fare della prevenzione per far sì che quello che succederà non segni profondamente.

  • Dal punto di vista fisico: prenditi cura della tua salute e della salute del tuo bambino e fai scelte sanitarie adeguate a te ma in modo davvero informato, collaborando con il personale sanitario che ti segue;
  • Dal punto di vista psicologico,
    • Cerca il supporto della tua rete sociale.
    • Se hai già sofferto in passato di depressione o PTSD in generale, fatti accompagnare da un professionista della salute mentale che ti aiuti a valutare il tuo livello di equilibrio psicologico ed a trattare eventuali scompensi.
    • Tratta eventuali tocofobia o PTSD correlato a parti precedenti con l’aiuto di uno psicoterapeuta (una metodica indicata in questo ambito è l’EMDR).
    • Preparati al parto con un metodo che ti insegni come affrontare travaglio e parto dal punto di vista pratico ma che favorisca anche il mantenimento del tuo equilibrio psicologico mediante rinforzo delle tue risorse interiori (come il Training Ipnotico al Parto).

Se hai dubbi, domande, curiosità o se vuoi espormi la tua situazione, contattami!

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FONTI

PTSD Disordine da Stress Post-Traumatico nel puerperio: risultati di una indagine conoscitiva su 46 madri presso l’Istituto Ostetrico-Ginecologico Luigi Mangiagalli di Milano / B. Cigoli, C. Maggioni, D.Calistri. – [s.l] : null, 2007 Sep 20.

Grussu P., Bramante A. Manuale di psicopatologia perinatale. Erickson ed.

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Maternità positiva: la ricetta perfetta e i tre ingredienti segreti

Competenza materna: sarai una mamma capace?

competenza materna

Diventare madre può essere contemporaneamente un momento di grande gioia e grande stress. Infatti non sei più responsabile solo di te stessa, ma lo diventi anche di tuo figlio.
Questo momento di transizione ti permette di valutare accuratamente la tua competenza materna, cioè la tua capacità di prenderti cura di un altro essere umano. Questa è un elemento importante, secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), per vivere una maternità positiva.

Cos’è la competenza materna? È la capacità della madre di mettere in atto comportamenti, abilità e strategie che promuovano uno sviluppo positivo del figlio e che ne favoriscano l’adattamento all’ambiente. Questo significa essere in grado di:

  1. stabilire obiettivi appropriati;
  2. monitorare i comportamenti (tuoi e di tuo figlio);
  3. mettere in atto strategie adeguate per raggiungere gli obiettivi;
  4. valutare l’efficacia delle tue azioni.

La capacità di creare un ambiente salutare e sereno, favorevole per la crescita e lo sviluppo del bambino, è strettamente correlata all’auto-efficacia materna.

Competenza materna e auto-efficacia: quale relazione?

L’auto-efficacia materna è ciò che tu pensi delle tue capacità di organizzare ed eseguire un insieme di compiti finalizzati al crescere un figlio. Fa parte della tua autostima materna e favorisce una serie di effetti positivi e protettivi nei confronti della salute psicofisica di bambini ed adolescenti:

  • migliora la qualità delle interazioni fra la madre e bambino;
  • fa sì che la madre sia più affettuosa e responsiva;
  • rende la madre più interessata e coinvolta nello svolgere attività tipicamente genitoriali;
  • funge da “ammortizzatore” in caso di depressione della madre e di avversità associate a circostanze di vita svantaggiate;
  • riduce la probabilità che il bambino sviluppi un temperamento problematico.

D’altro canto, non essere fiduciosi nelle proprie capacità genitoriali è collegato a:

  • depressione materna;
  • credere di non poter operare dei cambiamenti in situazioni problematiche;
  • comportamento considerato “difficile” del figlio;
  • alti livelli di stress percepiti dalla madre;
  • sensazione di essere sopraffatta dalle responsabilità genitoriali e di essere sovraccaricata dai compiti che la maternità comporta;
  • tendenza a delegare agli altri la risoluzione dei propri problemi.

Il paradosso della competenza materna

competenza materna

Il tuo livello di competenza materna è quindi strettamente correlato al tuo livello di auto-efficacia come madre. Può sembrare paradossale, ma per saperci fare come mamma bisogna prima di tutto che tu ti senta in grado di fare da madre. Infatti la sensazione di esserne capace si sviluppa dopo la nascita del bambino, ma affonda le sue radici:

  • nelle tue esperienze infantili con le figure che si prendevano cura di te. Queste esperienze ovviamente si trovano nel passato e non sono modificabili, ma si possono elaborare nel caso siano state traumatiche;
  • nei messaggi esterni (culturali o della comunità in cui vivi): questi non sono facilmente influenzabili, ma si possono filtrare e valutare;
  • in una buona preparazione per il ruolo materno. Puoi lavorare su questo punto per aumentare la tua auto-efficacia, e quindi rendere più solida la tua competenza materna, già prima di partorire.

Preparati ad essere madre: il circolo virtuoso

Essere madre significa anche considerare il proprio figlio come un progetto, facendo il possibile per garantire il suo sviluppo in senso positivo. Secondo la ricerca, le madri che ottengono i migliori risultati (in termini di sviluppo psicofisico dei figli) sono quelle competenti e con alta auto-efficacia.

Per aumentare le probabilità di favorire lo sviluppo positivo di tuo figlio, puoi instaurare un circolo virtuoso. Più ti senti capace e più sei competente, più sei competente e più ti senti capace. Per fare questo puoi lavorare già da subito su tre fronti: la gravidanza, il parto e la genitorialità.

Consapevolezza e scelte durante la gravidanza

È innanzitutto importante riconoscere che durante la gravidanza ci sono dei fattori che non rientrano sotto il tuo controllo e altri che invece puoi influenzare. Per fare un esempio, alcune malformazioni hanno cause genetiche imprevedibili, mentre altre sono addirittura prevenibili. Infatti per prevenire i difetti del tubo neurale (come la spina bifida) si raccomanda l’assunzione di acido folico già prima del concepimento, e poi per tutto il primo trimestre.

Per aumentare la tua auto-efficacia e la tua competenza, puoi coltivare la capacità di riconoscere gli elementi controllabili e concentrarvi le tue energie. Ad esempio, è controproducente che tu ti dia la colpa se ti viene diagnosticato un diabete gestazionale o una gravidanza a rischio. È invece utile che ti informi attivamente e segua sollecitamente le indicazioni terapeutiche che ti verranno date dal medico.

Non è detto che sia semplice agire sui fattori modificabili. Spesso infatti questo comporta un cambiamento che si può scontrare con le tue resistenze. Oppure può portare ad una serie di problemi che farebbe più comodo non vedere. Ma avere la responsabilità della vita di tuo figlio significa fare delle scelte volte alla tutela della sua salute e del suo sviluppo. Anche se queste scelte possono essere per te scomode.

Se ti trovi in difficoltà nell’individuare i fattori in cui le tue scelte possono avere un ruolo decisivo, non esitare. Chiedi al tuo medico di fiducia o alla tua ostetrica cosa puoi fare per favorire la salute del bambino che porti in grembo.

Inoltre, se ti accorgi che ti riesce difficile mettere in pratica le indicazioni del personale sanitario, sii attiva! Rivolgiti ad uno psicoterapeuta, per avere un sostegno specializzato ed affrontare il cambiamento necessario.

Arrivare al parto già competenti

Sembra paradossale che una donna possa sentirsi competente nel partorire prima ancora di aver partorito per la prima volta, vero? Eppure il senso di competenza materna è talmente importante da essere un fattore protettivo per la salute mentale della donna che deve partorire. Sentirti competente nel partorire ti farà avere un minor rischio di depressione post partum e di disturbo da stress post-traumatico correlato al parto.

Specialmente se partorirai per la prima volta, ti chiederai: come è possibile sentirsi competenti nel fare qualcosa di cui non si ha la minima esperienza?

È un dato di fatto che ogni parto è un evento unico e imprevedibile nel suo decorso. Però l’evoluzione ci ha selezionate nel corso di centinaia di migliaia di anni, generazione dopo generazione. Possiamo quindi dire che le donne del XXI secolo d.C. hanno nel DNA la capacità di partorire.

Proprio così: sei già capace di partorire!

senso di competenza materna nel partorire

Inoltre, ci sono professioni, strutture e metodiche che possono aiutarci laddove il nostro istinto non può. Infatti ostetriche, ginecologi, ospedali, farmaci e anche il parto operativo e cesareo sono risorse che si propongono di migliorare la sorte di un parto complicato. E nella maggior parte dei casi ci riescono. Per questo non ti devono spaventare, anzi, possono farti sentire protetta e supportata nella tua competenza materna.

Da cosa è influenzata l’auto-efficacia nel partorire?

L’auto-efficacia materna nel partorire può essere influenzata negativamente da fattori di tipo:

  • culturale: ad esempio in seguito ad un periodo storico in cui il parto è stato molto medicalizzato;
  • sociale: carente o assente supporto di un partner, della famiglia o della società;
  • psicologico: bassa autostima, depressione, ansia, paura del parto o della gravidanza.

Per fortuna ci sono altrettante influenze che possono aumentare l’auto-efficacia e la competenza materna nel partorire:

  • movimenti culturali che evidenziano la necessità di far riappropriare la donna del suo ruolo centrale nel parto;
  • Il supporto del partner, della famiglia e della società (amicizie, conoscenze, associazioni, istituzioni);
  • una buona autostima, un buon tono dell’umore, adeguate capacità di affrontare e gestire le proprie ansie e paure;
  • una buona preparazione al parto.

Se però la tua auto-efficacia nel partorire è nascosta, offuscata o credi di esserne carente, chiedi aiuto. Un professionista potrà infatti aiutarti ad appropriarti di questa importante risorsa interiore che ti guiderà verso un parto ed una maternità positivi.

Gettare le basi della genitorialità

Gli aspetti pratici

Quando il tuo bambino sarà nato, avrai tutte le possibilità di metterti alla prova e fare esperienza diretta della maternità. Se saprai in che direzione muoverti, questo rinforzerà la tua competenza materna e la tua auto-efficacia, aumentando le possibilità che tuo figlio si sviluppi bene.

Sicuramente all’inizio sarà utile

  • avere pronto tutto ciò che serve dal punto di vista concreto (vestitini, copertine, carrozzina, navicella o ovetto, culla, fasciatoio, tiralatte, coppette, assorbenti, pannolini, biberon…);
  • aver organizzato la casa (e la vita!) in modo da avere almeno i primissimi mesi di tranquillità per affrontare la transizione verso la maternità;
  • trovare una o due fonti autorevoli e soprattutto aggiornate da cui trarre le indicazioni pratiche su come prendersi cura del neonato: quando e quanto nutrirlo? Come vestirlo? Qual è la tecnica per cambiare il pannolino? Come fargli il bagnetto? Che prodotti usare? In che modo può dormire in sicurezza? Sono tutte domande che possono sembrare sciocche. Ma non lo sono. Prima di fare qualcosa, non dare nulla per scontato. Potrebbe sempre esserci qualcosa che ti sfugge. E poi, se ne hai voglia, ascolta e vaglia tutti i consigli (richiesti o meno!) che ti arriveranno dagli altri!
  • avere presente quali sono le tappe di sviluppo del bambino e le abilità in relazione all’età. Questo ti servirà per sapere come stimolare il bambino in modo appropriato e cercare tempestivamente aiuto nel caso si riscontrassero dei problemi.

In questo ambito è opportuno fare costantemente riferimento all’ostetrica e al pediatra di fiducia. Puoi in aggiunta acquistare un manuale, che sia per te chiaro ed esplicativo, da consultare agevolmente mese dopo mese.

Come si comporta una mamma competente?

Prima ancora che il bambino nasca, è utile anche avere un’idea di quali sono i modelli appropriati di comportamento genitoriale. Per favorire lo sviluppo del figlio, una mamma (ma anche un papà!) dovrebbe:

  • riconoscere i bisogni del bambino, soprattutto quando è neonato, e rispondervi in modo sufficientemente pronto ed adeguato;
  • interagire attivamente con il figlio (quindi non solo rispondere alle sue richieste, ma anche stimolarlo);
  • essere attiva nella gestione dei propri problemi emotivi ed interpersonali, per gestire, ridurre o tollerare lo stress ed il conflitto;
  • accettare e legittimare le preoccupazioni e i disagi del figlio, senza sminuirli;
  • utilizzare un metodo di disciplina non punitivo ma autorevole.

Se ti accorgi che ti viene spontaneo comportarti in modo diverso rispetto a queste indicazioni, rivolgiti ad uno psicoterapeuta. Potrete così valutare insieme le tue competenze genitoriali, riconoscere eventuali problemi, capirne le origini e risolvere in modo attivo i problemi.

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Autostima materna: tutto quello che hai bisogno di sapere

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FONTI

The Effects of a Childbirth Psychoeducation Program on Learned Resourcefulness, Maternal Role Competence and Perinatal Depression: A Quasi-Experiment (Fei-Wan Ngai, Sally Wai-Chi Chan, Wan-Yim Ip).

http://www.euro.who.int/en/health-topics/Life-stages/maternal-and-newborn-health/activities-and-tools/effective-perinatal-care-epc-training-package/epc-training-maternal-health-modules-modules-mo/1mo.-antenatal-care

Shrooti S, Mangala S, Nirmala P, Devkumari S, Dharanidhar B. Perceived Maternal Role Competence among the Mothers Attending Immunization Clinics of Dharan, Nepal. Int J Community Based Nurs Midwifery. 2016;4(2):100‐106.

http://www.copmi.net.au/professionals-organisations/what-works/evaluating-your-intervention/parents-carers-families/competence

Priscilla K. Coleman, Katherine Hildebrandt Karraker. Maternal self‐efficacy beliefs, competence in parenting, and toddlers’ behavior and developmental status. Infant mental health journal, Vol. 24(2), 126–148 (2003).

Autostima materna: tutto quello che hai bisogno di sapere

Gravidanza e maternità sono tappe vitali che cambiano profondamente l’identità della donna. Se sei incinta, da ora la tua autostima globale verrà influenzata anche dalla tua autostima materna, cioè dalla tua valutazione di te stessa come madre.
Non solo: l’opinione che hai di te stessa si rifletterà nella relazione con il tuo bambino.

In questa ottica è importante prendere consapevolezza della propria autostima materna. Cerchiamo di capire insieme perché è importante avere una buona opinione di sé come madre e soprattutto come farlo in modo equilibrato.

Perché dovresti curare la tua autostima materna (e globale) già prima del parto

Quando arriverai al momento del parto, la tua autostima globale sarà già affiancata dalla tua autostima materna: in fondo, nel momento in cui hai portato tuo figlio in grembo per circa 9 mesi sei già entrata nell’ottica di essere una madre, anche se in effetti è dopo il parto che riuscirai veramente a “metterti alla prova” come mamma e scoprire cosa pensi di te stessa in quanto tale.

Autostima globale e autostima materna rispondono rispettivamente alle domande “Come sono come persona?” e “Come sono come madre?”, e si influenzano a vicenda. Più è importante per te essere madre, più la tua autostima materna influenzerà l’autostima globale. D’altra parte, tanto migliore è la tua autostima globale “di partenza”, tanto più facile sarà avere una buona autostima materna.

Vediamo ora quali vantaggi ti porta l’avere una buona opinione di te stessa come madre.

Ti appropri più facilmente del tuo ruolo di madre

La transizione da donna a madre non è sempre un percorso privo di ostacoli. Alcune donne non sentono subito amore nei confronti del figlio neonato, preferiscono non allattarlo, provano dei sentimenti conflittuali nei confronti della maternità. E va bene così: sono sentimenti che, grazie ad una buona autostima, possono essere accolti, accettati ed elaborati.

Inoltre le madri, a prescindere dai loro sentimenti verso la maternità e verso il neonato, hanno comunque un importantissimo ruolo di cura nei confronti del proprio bambino. Più una mamma sarà competente in questo ruolo, più faciliterà un sano sviluppo del bambino.

La ricerca supporta la previsione per cui una madre con una buona autostima sarà con maggiore probabilità una madre competente ed avrà un buon livello di responsività materna: sarà cioè in grado di riconoscere, in modo continuativo nel tempo, i segnali del bambino e di rispondervi, agendo di conseguenza, in modo sufficientemente adeguato.

La responsività materna è importantissima nel primo anno di vita del neonato, perché promuove un attaccamento sicuro: il bambino sente di essere supportato incondizionatamente nelle sue necessità e questo gli garantisce una base sicura dalla quale può partire per esplorare il mondo esterno (sapendo che il genitore lo lascerà libero, vegliandolo, proteggendolo al bisogno ed eventualmente consolandolo se necessario). Il suo sviluppo neurofisiologico, fisico e psicologico sarà così favorito.

Attenzione! Questo non vuol dire che devi essere ossessiva e rivolgere al bambino attenzioni morbose, né tantomeno che devi essere sempre perfetta e non puoi permetterti di sbagliare.

Capacità di affrontare l’imprevedibilità

C’è un detto: “In ostetricia, ci sono più eccezioni che regole”. Questo è vero: sembra che non ci sia un parto uguale all’altro! Quindi anche la tua esperienza sarà unica. E imprevedibile. Ci saranno dei punti fissi, ci saranno dei protocolli che verranno seguiti per avere il miglior esito possibile dal parto. Ma l’alto tasso di imprevedibilità rende il parto un momento potenzialmente traumatico, e questo è riconosciuto dalla comunità scientifica.

L’imprevedibilità poi entrerà a far parte della tua quotidianità: il ritmo della vita cambierà in un modo repentino (un giorno sei da sola, il giorno dopo ti ritrovi a doverti occupare di un bebè!), inoltre dovrai appena iniziare a conoscere il bambino che ti troverai tra le braccia, che avrà i suoi problemi, le sue preferenze, le sue esperienze, il suo comportamento. Tutto questo fa parte della vita ed è intrinsecamente meraviglioso ed affascinante. Ciò non toglie che possa essere destabilizzante.

Le ricerche dimostrano che una buona autostima rende in grado di adattarsi in modo efficace alle contingenze e di gestire la paura e l’incertezza che queste situazioni comportano. Avere una buona opinione di te (come madre e come persona in generale) ti permetterà di affrontare con maggiore capacità di adattamento i cambi di programma e l’incertezza della vostra vita d’ora in avanti.

Capacità di affrontare le situazioni negative

È normale augurarsi che tutto vada per il meglio. Queste aspettative possono però essere infrante da eventi più o meno gravi. In questi casi ogni minaccia di evento negativo è un boccone amaro, a volte difficile da digerire. Ci sono in particolare alcuni eventi che influiscono negativamente sull’autostima materna.

Nati prematuri e problemi di salute

Anche la sola percezione che la madre ha sulla salute del bambino, indipendentemente dal riscontro effettivo di problematiche mediche, influisce sull’autostima materna: se la donna percepisce di aver partorito un bambino vulnerabile, ha un maggior rischio di sviluppare una bassa valutazione di sé.

Oltre a questo, una mamma di un bambino nato prematuramente e/o con dei problemi di salute è più a rischio di avere una bassa autostima materna, specialmente se il neonato necessita di un ricovero prolungato e ha bisogno di un periodo in terapia intensiva neonatale. In questo caso i genitori (che nell’eventualità di nascita prematura possono non essere ancora pronti, praticamente o psicologicamente, per assumere il loro ruolo) vivono momenti di incertezza e stress. Inoltre, le opportunità di accudire il bimbo sono inferiori e ci si deve confrontare con una certa passività forzata. Per fortuna negli ultimi anni le strutture ospedaliere hanno fatto enormi progressi nel comprendere e consentire la maggiore interazione possibile tra genitori e neonato: infatti, dare la possibilità ai genitori di esercitare le loro capacità permette loro di aumentare l’autostima genitoriale ed instaura un circolo virtuoso che si riflette sul benessere della madre e del bambino.

Un bambino con problemi di salute, inoltre, accentrerà tutta l’attenzione e le energie del personale sanitario e della famiglia. La mamma quindi non avrà modo di avere quel “consolidamento emotivo” che normalmente avviene dopo il parto, e la sua autostima ne risentirà.

Il comportamento difficile del neonato

A volte le madri confondono il comportamento del neonato con il suo temperamento o il suo carattere. Così l’autostima materna può essere più bassa se il bambino è poco autonomo, se dimostra una certa irregolarità nei bisogni fisiologici, se non si lascia consolare facilmente, se non è capace di di calmarsi da solo. Questi aspetti però non hanno a che fare con il carattere, ma sono causati da una transitoria instabilità fisiologica, che si stabilizza man mano nei mesi successivi al parto.

Il supporto della famiglia

Una madre che non percepisce il supporto del partner e/o della famiglia ha più probabilità di avere una bassa autostima materna. Questa percezione è estremamente soggettiva, pertanto è necessario che, almeno nel primo anno di vita del bambino da una parte la mamma sia chiara ed esplicita nelle richieste di aiuto e nel porre eventuali limiti e paletti, e dall’altra la famiglia sia aperta al dialogo e pronta ad aiutarla nelle sue necessità.

Il comportamento del personale sanitario

A volte le relazioni con il personale sanitario al momento del parto possono essere difficili.

Per la donna il parto è un evento a volte unico nella vita, carico di aspettative ed emozioni. Per il personale sanitario invece il parto, pur con la sua imprevedibilità, è un evento di routine.

Inoltre, a volte la professionalità dello staff viene inquinata: può quindi capitare che un professionista abbia una giornata negativa, abbia un brutto carattere, oppure sia spaventato da determinate circostanze ed agisca sulla base della paura. Questo può tradursi nei casi più lievi in uno scontro con la madre. Nei casi più gravi invece può sfociare nella violenza ostetrica, ovvero trattamenti irrispettosi e abusanti durante il parto nelle strutture ospedaliere. Tali trattamenti ovviamente non hanno giustificazioni plausibili: il personale sanitario dovrebbe comportarsi sempre in modo professionale. Purtroppo a volte queste situazioni si verificano comunque.

Avere una solida autostima materna è per te un notevole fattore protettivo nel caso in cui il personale sanitario si comporti in modo sbagliato nei tuoi confronti.

Il decalogo per migliorare la tua autostima materna

Aumentare la tua autostima materna significa migliorare la tua opinione di te stessa come madre. Ecco quindi un decalogo per rinforzare questo importante aspetto di te, che come abbiamo visto ha una essenziale funzione protettiva in tanti ambiti.

Autostima significa avere la consapevolezza dei propri punti di luce e delle proprie zone d'ombra.

1. Sii consapevole del tuo ruolo come madre: il tuo ruolo è supportare il tuo bambino, nutrirlo, proteggerlo, programmare il suo futuro, prenderti cura di lui. Anche se il tuo bimbo è ancora nel pancione, comincia già con il chiederti: “Come sono come persona e come madre?” e prendi consapevolezza delle tue caratteristiche e peculiarità.

2. Ricorda che essere una madre sufficientemente buona significa essere una persona autentica, che si accetta e ha consapevolezza di se stessa, sa cosa è possibile fare per migliorarsi e cosa, invece, fa parte delle sue peculiarità e può essere al massimo gestito e controllato.

3. Dopo il parto, condividi con il personale sanitario le tue impressioni sul bambino e sulla tua esperienza nel prenderti cura di lui (allattamento, cambio pannolino, …): questo darà allo staff la possibilità di capire il tuo punto di vista e di aiutarti in caso di bisogno.

4. Ricorda che se un sanitario minimizza le tue preoccupazioni (cosa ben diversa dal rassicurare!), ti tratta con sufficienza o addirittura in malo modo, non è colpa tua: non si sta comportando in modo professionale.

5. Senti il supporto del tuo partner/della tua famiglia? Prova a chiederti come eventualmente migliorare questo aspetto e sii in grado di chiedere aiuto, di avanzare le tue richieste e di porre i limiti che ritieni opportuni.

6. Se il tuo bambino ha bisogno di un ricovero prolungato, chiedi allo staff sanitario quello che puoi fare per accudirlo nonostante queste circostanze e sii attiva nell’approfittare di ogni possibilità per entrare in contatto con lui e sviluppare la vostra relazione. Solo tu puoi offrire al tuo bambino gli elementi unici di cui lui ha bisogno: il tuo tocco, la tua voce, il tuo odore, i tuoi baci, i tuoi abbracci.

7. Se il tuo bambino ha problemi di salute, ricorda che non serve a nessuno dimostrare di essere una roccia: sfogati, sii onesta sui tuoi sentimenti, affronta e risolvi le tue crisi interiori, chiedi aiuto e confronto. È importante che tu cerchi di prenderti cura di te stessa per poterti poi prendere cura al meglio del tuo bebè.

8. Ricorda che il comportamento del neonato non dipende dal suo carattere, ma è dato dalla sua condizione fisiologica, che può essere instabile e si stabilizzerà nei mesi (a volte anni) a venire. Affibbiare un’etichetta al tuo bambino nel primo anno di vita è pericoloso, perché può diventare una profezia che si auto-avvera. Abbi pazienza.

9. Siccome l’autostima materna è strettamente correlata con l’autostima globale, mettiti all’opera per migliorare quest’ultima e vedrai che anche la prima ne beneficerà.

10. Se senti di avere una scarsa autostima di base e hai paura di non riuscire a sviluppare una scarsa autostima materna, chiedi l’aiuto di uno psicoterapeuta: può essere risolutivo.

In conclusione, un buon livello di autostima materna è un pilastro fondamentale per la tua salute mentale, per vivere una gravidanza, un parto e una maternità positivi, per instaurare una relazione equilibrata con il tuo bebè e per favorire il suo sviluppo.

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