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Come scegliere i buoni propositi per l’anno nuovo

come scegliere i buoni propositi

A fine anno viene spontaneo fare una sorta di bilancio della propria esistenza, stilando l’elenco dei buoni propositi per l’anno successivo. A volte però sei anche insoddisfatto di quello che sei riuscito a compiere finora. Per alcune persone, questo è un meccanismo che porta a porsi sfide sempre più ambiziose e a rimanere sempre più deluse. In questo articolo troverai qualche consiglio per rompere questo circolo vizioso (o evitare di entrarvi!) e imparare come scegliere i buoni propositi per l’anno nuovo.

come scegliere i buoni propositi

Sii preciso e realista

Ti meriti che i tuoi buoni propositi siano definiti, e non confusi. Dire “Voglio dimagrire” o “Voglio guadagnare di più” non ti aiuterà a raggiungere i tuoi obiettivi.

Gli amanti della razionalità dicono che bisogna essere precisi e dire “Voglio dimagrire tot kg entro giugno” o “Entro l’anno voglio chiedere l’aumento di tot euro”. Ed è vero! Se la nostra mente ha un obiettivo nitido, si attiva maggiormente per raggiungerlo. Però non è tutto così semplice: a volte c’è qualcosa di inconscio che sembra ostacolarci.

Essere realisti significa capire che dietro questi obiettivi generici si nascondono altri desideri più profondi: vorrei essere accettato, sentirmi più importante, sentirmi “normale”, risolvere un’altra situazione che mi causa insoddisfazione, …

Se ci pensi bene e ti accorgi che è il tuo caso, allora il tuo buon proposito più importante per l’anno nuovo potrebbe essere quello di cercare l’aiuto professionale di uno psicoterapeuta per comprendere e affrontare tali insicurezze e blocchi. Se non farai questo passo, correrai il rischio di perdere tempo concentrandoti su buoni propositi il cui raggiungimento non ti farà sentire davvero soddisfatto di te (sempre che tu li raggiunga! Perché il nostro inconscio è bravo a non farci raggiungere obiettivi che non sono risolutivi del reale problema).

Quando scegli i tuoi buoni propositi, rispettati!

Non pensare solo a dove vuoi arrivare: considera anche da dove stai partendo!

Spesso gli obiettivi che ci fissiamo richiedono molto più tempo di quello che immaginiamo. Questo perché per raggiungerli bisogna completare prima numerosi sotto-obiettivi che possono a prima vista sfuggire, ma che in realtà necessitano di mesi interi per essere realizzati.

Un esempio: se hai un grave sovrappeso e hai bisogno di perdere 30 kg, ma sei una persona molto sedentaria e soffri di binge eating, devi considerare che:

  • raggiungere il tuo obiettivo finale potrebbe essere un percorso che richiederà più anni (e probabilmente è bene che sia così, anche per favorire una stabilità del risultato ottenuto);
  • affronterai momenti difficili che ti potrebbero portare a ritornare rapidamente alle vecchie abitudini.

Quindi, nel quadro generale del progetto a lungo termine che etichetterai come “Voglio perdere 30 kg”, potrai inserire dei buoni propositi per l’anno nuovo che siano funzionali a questo progetto. Ad esempio: impegnarti a fare (inizialmente!) 45 minuti di attività fisica sostenuta per 3 volte alla settimana in modo costante nei mesi, e iniziare un percorso psicoterapeutico che ti aiuti a migliorare il rapporto con il cibo e ad affrontare anche i momenti difficili che incontrerai.

Per essere rispettoso di te stesso nello scegliere i buoni propositi per l’anno nuovo, hai bisogno di conoscerti a fondo ed essere onesto. Spogliarti metaforicamente di tutti gli orpelli, le sovrastrutture, la necessità di dimostrare di essere “di più”. Lascia che ti anticipi questo: non appena riuscirai ad accettare chi sei davvero, limiti e “difetti” inclusi, potrai finalmente crescere e diventare davvero molto di più.

Sii elastico riguardo ai buoni propositi passati che non ti sono stati utili

come scegliere i buoni propositi

Ora fermati e chiediti: perché questo buon proposito, su cui finora non ho fatto alcun progresso, è finito nella mia lista l’anno scorso?

A volte hai scelto dei buoni propositi perché dentro di te risuonava la voce di qualcun altro e hai fatto fatica a distinguerla dalla tua. Oppure semplicemente perché non sei stato realista, o perché hai seguito una moda che con te aveva poco a che fare.

Quest’anno fai una bella pulizia di tutti i buoni propositi che non provengono direttamente da te.

E se hai il sentore che qualcuno dei rimanenti non ti porterà da nessuna parte perché nasconde qualcosa di più profondo, cerca di capire che cosa sia (da solo o con un aiuto professionale). Così potrai modificarlo nel modo giusto e fare finalmente centro, quest’anno!

In breve: come scegliere i buoni propositi

come scegliere i buoni propositi

Ti meriti che i tuoi buoni propositi per l’anno nuovo siano ben definiti, realisti, rispettosi della tua persona e semplicemente tuoi.

Se riuscirai a sceglierli nel modo giusto, aumenterai le probabilità di realizzarli per davvero. Se avrai bisogno di un aiuto per farlo, sarò qui per te.

Nel frattempo, spero di averti dato degli spunti interessanti per capire come scegliere i tuoi buoni propositi.

Ti auguro buona fine e buon inizio!

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Dovrò partorire da sola causa COVID… e quindi?

partorire da sola

L’idea di partorire da sola a causa del COVID ti turba? Leggi questo articolo per guardare a questa esperienza con uno sguardo diverso e arrivare al parto il più preparata e tranquilla possibile.

Premessa: il titolo di questo articolo è volutamente provocatorio. È naturale e quasi scontato che ogni donna incinta vorrebbe vivere un bel parto senza complicanze e senza mascherine, poter disporre di un compagno affettuoso e tranquillo che la sostenga e che le permetta di stritolargli la mano durante le contrazioni e le spinte, avere a che fare solo con personale medico e ostetrico gentile, comprensivo ed empatico, poter ricevere le visite di amici e parenti nei momenti più opportuni…e così via.

È però necessario fare i conti con la realtà dei fatti: in tempo di pandemia da COVID-19, purtroppo, non avrai la certezza di essere accompagnata da una persona di tua scelta durante il parto.

Accesso dell’accompagnatore al parto

Al fine di limitare le possibilità di contagio, infatti, dall’inizio della pandemia le strutture sanitarie hanno vietato l’accesso ai visitatori. Ad oggi la situazione varia da struttura a struttura e da reparto a reparto. Non solo: le regole possono cambiare da una settimana all’altra, a seconda della situazione epidemiologica locale.

L’attuale orientamento dei reparti di maternità, dove possibile, è concedere l’accesso del padre (o di un accompagnatore del parto) nei momenti immediatamente precedenti e successivi al parto, previo recente risultato negativo di tampone.

La situazione ovviamente è diversa nel caso in cui la donna sia positiva al tampone per Sars-CoV-2: in questo caso è previsto l’isolamento (quindi non possono entrare accompagnatori al parto), ma, se le condizioni cliniche della madre lo consentono, sono comunque previsti il rooming-in (cioè il permanere del neonato nella stessa stanza della madre), lo skin-to-skin (il contatto pelle a pelle) e l’allattamento. Il tutto, ovviamente, con le dovute misure precauzionali anti-contagio (frequente igienizzazione delle mani e dell’ambiente, utilizzo di mascherina almeno chirurgica). Questo perché i rischi di un’infezione neonatale da Sars-2-CoV (che, con le misure preventive sopra menzionate, ha una probabilità molto bassa di essere trasmessa dalla madre) sono nettamente inferiori rispetto alle problematiche dello sviluppo che comporta l’assenza di contatto fisico con la madre.

Cosa dice la legge

Molte donne protestano dicendo “Ma avere il mio compagno accanto a me durante il parto è un mio diritto!”. Attualmente, la presenza di un accompagnatore al parto non è una legge (viene spesso citata a tal proposito la proposta di legge Zaccagnini, che però non è mai diventata legge, bensì è decaduta con la precedente legislatura). È invece una raccomandazione dell’OMS per favorire una maternità positiva.

A inizio pandemia, l’Istituto Superiore di Sanità ha fornito delle indicazioni per garantire, qualora possibile in sicurezza, la presenza di un accompagnatore durante parto (https://www.epicentro.iss.it/…/sars-cov-2-gravidanza…), in accordo con le raccomandazioni dell’OMS.

Nella realtà dei fatti però, al di là della raccomandazione, il tutto è lasciato nelle mani delle singole strutture, che in questo contesto di emergenza hanno ovviamente priorità diverse a seconda della situazione epidemiologica locale e delle risorse economiche disponibili.

Quindi, nonostante molte strutture si siano organizzate e si stiano organizzando per garantire la presenza di un accompagnatore durante il parto e nella degenza post-partum, al momento c’è ancora un’ampia variabilità da struttura a struttura e tra regime pubblico e privato (dove, va da sé, sono maggiori le risorse economiche per far fronte alla prevenzione di contagi con eventuali focolai intraospedalieri).

E tu, come ti senti al pensiero di partorire da sola?

Se sei incinta e pensi alla possibilità di dover partorire da sola, senza la presenza di una figura familiare, potresti provare diverse emozioni e sensazioni negative, come:

  • senso di ingiustizia
  • rabbia
  • sconforto
  • ansia
  • paura…

È normale provarle, viste le circostanze. Se però queste emozioni prendono il sopravvento e oscurano le tue giornate, vale la pena provare a considerare dei punti di vista differenti, che possano aiutarti a ritrovare il tuo equilibrio e affrontare il parto e il puerperio con serenità, nonostante le circostanze. Vediamoli insieme come scoprire il lato positivo di questa esperienza.

partorire da sola

Guarda anche il lato positivo

Un rapporto più stretto con il personale sanitario

È banale, ma anche medici ed ostetriche sono esseri umani. Questo vuol dire da una parte che le relazioni che il personale instaura con i pazienti saranno sicuramente influenzate dalle caratteristiche individuali (con conseguenti simpatie e antipatie, anche se è sempre auspicabile che il personale mantenga un atteggiamento professionale nei confronti dei pazienti). D’altra parte, però, significa anche che medici e ostetriche sono in grado di mettersi nei vostri panni, di comprendere quello che state passando e di tendervi una mano nel momento del bisogno.

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Meno interferenze

Per quanto sia gioioso ricevere subito le visite di amici e parenti, pensate che in fondo, i festeggiamenti (con le dovute precauzioni) saranno rimandati solo di qualche giorno.

Potrete così dedicare al vostro riposo le giornate immediatamente successive al parto. Dormire senza troppe interruzioni, riprendervi dalla fatica e/o da eventuali conseguenze fisiche del parto, prendervi il vostro tempo in un ambiente tranquillo per cominciare a conoscere il neonato, capire come prendervene cura nel modo migliore (senza troppe voci esterne a dare la propria opinione) e iniziare a instaurare quel legame unico e speciale che sarà una guida importante per il vostro rapporto lungo tutta la vita.

partorire da sola

Cosa puoi fare per prepararti?

Ecco cosa puoi fare per fronteggiare la paura di partorire da sola durante questa pandemia di COVID-19:

Informati

Chiedi informazioni precise alla struttura in cui hai deciso di partorire:

  • Come sono regolamentati gli accessi di un eventuale accompagnatore
  • Cosa succederebbe se tu o lui doveste avere un tampone positivo per Sars-2-CoV?
  • C’è la possibilità di avere un supporto psicologico durante il ricovero nel caso in cui scoprissi di essere positiva al tampone per Sars-2-CoV?

Lavora su te stessa

Questo è un buon momento per lavorare su te stessa e trovare le risorse necessarie. Per prepararti al parto durante la pandemia dovrai sviluppare:

Se senti di avere bisogno di un confronto su queste tematiche, contattami!

Fatti aiutare

Se non sei sicura di possedere queste risorse, prova a seguire un corso di preparazione al parto incentrato anche sulla preparazione psicologica della futura mamma. Impedirai così all’idea di partorire da sola di metterti in crisi!

Inoltre, se ti senti molto spaventata all’idea di affrontare il travaglio, il parto ed il postpartum da sola perché

ti consiglio caldamente di farti seguire da un professionista della salute mentale. Avrai così modo di trattare i tuoi disturbi, affrontare con maggior serenità questo periodo di cambiamento e prevenire problemi futuri che potrebbero ripercuotersi anche sulla vita di tuo figlio.

partorire da sola

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Il parto traumatico

Ho paura del parto, aiuto! (Sarò mica tocofobica?)

paura del parto

Nel mondo occidentale una donna incinta su cinque ha paura del parto. Ma questa paura non colpisce solo le donne in stato interessante: si stima che a livello mondiale il 14% delle donne in età fertile abbia paura di partorire.

La paura del parto è un disturbo di tipo ansioso. Si può presentare con diversi livelli di severità, dal grado più lieve ad una forma grave e invalidante: la tocofobia (dal greco: tokos= parto + fobos = paura).

La paura del parto può essere:

  • primaria: può manifestarsi anche prima di rimanere incinta, fin dall’età adolescenziale.
  • secondaria: è conseguente a precedenti esperienze ostetriche traumatiche oppure alla depressione in gravidanza.
paura del parto

Perché insorge la paura del parto?

Fattori predisponenti

Ci sono dei fattori che possono predisporti alla paura del parto. In particolare possono essere fattori:

  • biologici, come la giovane età e avere una ridotta tolleranza al dolore.
  • psicologici, come essere una persona ansiosa, avere una bassa autostima, essere poco assertiva, soffrire di disturbi psichiatrici non correlati alla gravidanza, soffrire di depressione o altri problemi psicologici insorti in gravidanza, aver avuto esperienza di abuso sessuale o problemi sessuali, non avere adeguate conoscenze sulla gravidanza e sul parto.
  • ambientali: subire molto stress quotidianamente durante la gravidanza.
  • socio-relazionali: non avere supporto sociale, non avere un lavoro, avere un rapporto di coppia insoddisfacente, non convivere con il padre del bambino.

Cosa c’è dietro alla paura del parto

Gli studi hanno rilevato che la paura del parto ha origine multifattoriale. In particolare, le seguenti motivazioni sono alla base dell’insorgenza di questa paura:

  • Fobia del dolore e la convinzione di avere una bassa tolleranza alla sofferenza.
  • Paura che si riattivino eventi traumatici del passato (abusi, abbandoni).
  • Precedenti esperienze ostetriche negative che sono risultate traumatiche: parto traumatico (anche se può essere considerato normale dal punto di vista ostetrico), aborto spontaneo, morte fetale, interruzione volontaria di gravidanza.
  • Paura di essere incapace di dare la vita.
  • Il futuro padre del nascituro manifesta ansie e preoccupazioni.
  • Fobia di diventare madre.
  • Trasmissione familiare, anche attraverso le generazioni, del messaggio che il parto è un evento pericoloso, da temere.
  • Paura di vivere momenti di panico o perdita di controllo durante il parto.

Conseguenze della paura del parto

Le conseguenze della paura del parto si possono suddividere a seconda del momento temporale in cui avvengono.

Prima del parto

Le donne che hanno paura del parto tendono ad usare meticolosamente metodi anticoncezionali per evitare di rimanere incinta (anche se sentono il desiderio di avere un figlio). Alcune si sottopongono alla legatura delle tube o richiedono al partner di sottoporsi a vasectomia.

Nel caso in cui rimangano incinte, alcune donne affette da severa tocofobia hanno un disagio interiore talmente forte da scegliere di interrompere volontariamente la gravidanza al fine di evitare il parto.

Altre donne con paura del parto richiedono al ginecologo di programmare un taglio cesareo elettivo, anche se non ci sono indicazioni mediche. La possibilità di fare questa scelta è un argomento ancora controverso e dibattuto. Quando una donna presenta al ginecologo questa richiesta, deve essere ben informata sui benefici ed i rischi del parto cesareo elettivo. Rispetto al parto fisiologico, il cesareo d’elezione comporta, oltre ad una degenza ospedaliera più lunga, una aumentata incidenza di complicanze materne a breve termine, in particolare emorragie, isterectomia peripartum ed arresto cardiaco.

Durante il parto

Durante il parto, le donne con tocofobia presentano più alti livelli di ansia.

L’ansia aumenta la produzione di cortisolo, che devia la circolazione sanguigna dall’utero, accentua i dolori e riduce la produzione di ossitocina. Questa è essenziale nell’avviare e mantenere il travaglio, quindi il travaglio nella donna in preda alla paura può rallentare o addirittura interrompersi.

L’ansia nella donna può poi comportare ridotto apporto di ossigeno e nutrienti attraverso la placenta.

La madre che ha una grande sofferenza emotiva durante il parto tende inoltre a comportarsi in modo difensivo e/o aggressivo, invece che collaborativo. Questo ostacola il suo essere attiva nell’accompagnare alla nascita il bambino.

Infine, se alla madre vengono somministrati durante il travaglio farmaci per alleviare i sintomi ansiosi, questi possono influenzare anche il neonato.

Dopo il parto

L’ansia materna può causare un incremento dell’irritabilità e irrequietezza del bambino subito dopo la nascita.
Inoltre è correlata a ritardo nello sviluppo mentale e motorio a 8 mesi.
Vi sono infine evidenze che l’ansia materna renda il bambino più sensibile e vulnerabile all’ansia e ai disturbi depressivi in infanzia ed età adulta.

paura del parto

Soffri di tocofobia?

Di seguito troverai un elenco di situazioni che accomunano le donne che soffrono di tocofobia. Tuttavia, questo elenco ha esclusivamente uno scopo orientativo e non sostituisce una diagnosi fatta da un professionista della salute mentale.

Potresti soffrire di tocofobia se…

  • Fai incubi sul parto.
  • Ti lamenti molto dei disagi fisici della gravidanza.
  • Hai difficoltà di concentrazione sul lavoro o nelle attività domestiche.
  • Hai paura del dolore, delle ferite ostetriche, del taglio cesareo d’emergenza, dell’incompetenza dello staff, di morire durante il parto, di dare alla luce un bambino con problemi fisici o con una malformazione congenita.
  • Credi fermamente che il parto fisiologico sarebbe estremamente doloroso e sicuramente traumatico, ed eviti accuratamente di rimanere incinta (anche se lo desidereresti molto). Oppure, se sei già in dolce attesa, vorresti sottoporti ad una interruzione volontaria di gravidanza o ad un taglio cesareo programmato per evitare di partorire in modo fisiologico.
  • Hai paura che la gravidanza o il parto riattivino delle precedenti esperienze traumatiche (un abuso o un parto traumatico).

Cosa posso fare se ho paura del parto?

Innanzitutto rivolgiti ad un professionista della salute mentale (psicologo, psichiatra, psicoterapeuta) che possa aiutarti ad inquadrare la tua paura e fare eventualmente una diagnosi puntuale.
In seguito alla diagnosi, potresti ricadere in una delle seguenti situazioni.

Ho una lieve o moderata paura del parto

Sappi che sei in grado di fronteggiare autonomamente le tue ansie e le tue paure.
Come? Cercando informazioni, trovando sostegno all’interno della tua rete sociale o rivolgendoti al tuo medico di fiducia.
È importante che parli dei tuoi sentimenti (anche se non sei abituata o se pensi che non sia nel tuo carattere farlo) e che aumenti le tue conoscenze sulla gravidanza e sul parto. Per fare questo, la preparazione al parto è una fonte preziosa di aiuto.

Qualora, nonostante tutto questo, la tua situazione dovesse non migliorare, rivolgiti ad uno psicoterapeuta per ottenere l’aiuto di cui hai bisogno.

Soffro di tocofobia

Se la paura del parto è particolarmente invalidante, ti sarà utile rivolgerti al più presto ad uno psicoterapeuta per lavorare su più livelli:

Elaborare eventuali traumi pregressi: una tecnica utile a questo scopo è l’EMDR, che consente di elaborare i traumi in tempi rapidi.
– Trattare una eventuale depressione con psicoterapia ed eventuale terapia farmacologica.
– Fare un percorso di counseling per scegliere quale è per te il miglior modo per partorire.
– Fare una preparazione al parto mirata e personalizzata, che ti consenta non solo di acquisire tecniche di rilassamento e gestione del dolore, ma anche di raccogliere informazioni su come sarà il parto e acquisire competenze per affrontarlo al meglio in tutte le sue sfaccettature.

guarire dalla paura del parto

FONTI

Saisto T, Halmesmäki E. Fear of childbirth: a neglected dilemmaActa Obstet Gynecol Scand. 2003;82(3):201‐208.

Grussu P., Bramante A. Manuale di psicopatologia perinatale. Erickson ed.; pagg. 205-237

https://www.epicentro.iss.it/materno/LineeGuideCesareo2012

https://www.epicentro.iss.it/materno/pdf/LG_cesareo_comunicazione.pdf

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Migliorare la tua autostima: i 5 step fondamentali

Il parto traumatico

Migliorare la tua autostima: i 5 step fondamentali

Avere una buona opinione di se stessi è importante per proteggere il benessere psicologico. Per questo è utile che tu sappia come migliorare la tua autostima.

L’autostima è, come dice la parola stessa, una “stima di noi stessi”, ovvero una valutazione di quelle che noi crediamo essere le nostre caratteristiche e capacità personali. È importante quindi notare che l’autostima è un giudizio di valore (positivo o negativo) che si basa su qualcosa di soggettivo (cioè su come ci percepiamo) e che ha un influsso emotivo su noi stessi.

Per semplificare, è come se ci guardassimo riflessi ad uno specchio e dicessimo, sulla base di quello che vediamo (non solo dal punto di vista estetico, ma globale): “Vado bene/Non vado bene”.

autostima è un giudizio su ciò che vediamo guardandoci metaforicamente allo specchio

Diamo questo giudizio sulla base della nostra tendenza a conformarci a dei canoni: tendiamo quindi a fare un paragone tra ciò che vediamo allo specchio e ciò che vorremmo vedere, ma non solo! Compariamo la nostra immagine riflessa anche con ciò che, secondo noi, dovremmo vedere.

Perché bisognerebbe migliorare una bassa autostima?

I problemi dell’autostima insorgono nel momento in cui ci diamo un giudizio negativo perché c’è una discrepanza tra come noi ci percepiamo e chi vogliamo essere e/o sentiamo di dover essere. Quanto maggiore è questa discrepanza, tanto più bassa sarà l’autostima.

Se soffri di bassa autostima, puoi ritrovarti in una o più delle seguenti frasi:

  • non ti apprezzi;
  • hai la tendenza ad auto-sabotarti;
  • sei più vulnerabile alle malattie psichiatriche (disturbo depressivo maggiore, episodi maniacali o ipomaniacali, distimia, disordini dissociativi, anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbi di personalità borderline, narcisistico ed evitante);
  • adotti comportamenti che comportano problemi sociali (ad esempio comportamenti violenti);
  • adotti comportamenti che mettono a rischio la tua salute e la tua vita (ad esempio gesti impulsivi oppure abuso di sostanze stupefacenti).

Queste condizioni portano a grande sofferenza psicologica e spesso anche a problemi di natura relazionale, legale, di salute. Ecco perché ti conviene migliorare la tua autostima. Nessuno potrà prometterti che sarà facile o veloce, ma è sicuramente possibile.

Come migliorare la tua autostima

Avere una buona autostima è un meccanismo di difesa che promuove il benessere proteggendo l’equilibrio interiore da fattori stressanti e negativi.

Un’autostima positiva infatti è associata al benessere mentale, alla capacità di adattarsi, alla felicità, al successo, alla soddisfazione e alla capacità di riprendersi in seguito a seri problemi di salute.

Avere una buona autostima vuol dire avere dentro di sé una base stabile che ci consente di vivere in modo il più possibile continuativo sentimenti ed emozioni quali:

  • senso di sicurezza;
  • dignità;
  • tranquillità;
  • soddisfazione;
  • entusiasmo;
  • appagamento.

Arrivare ad un’auto-valutazione globalmente positiva su se stessi si può. Bisogna innanzitutto volerlo. E poi bisogna lavorarci, da soli o guidati da uno psicoterapeuta.

Ecco i cinque step fondamentali per migliorare la tua autostima.

1. Assumi il controllo

La tua autostima non potrà mai migliorare se non percepisci di avere il controllo della tua vita.

Questo significa che devi diventare il primo promotore della tua stessa autonomia. Sei tu che decidi cosa è meglio per te, sei tu che hai la capacità di regolarti da solo.

Certo, questo comporta delle responsabilità, e le responsabilità possono spaventare. Ma non delegare a nessuno questi importantissimi compiti. Se seguirai i punti successivi, sarà impossibile sbagliare, e la tua autostima ne trarrà giovamento.

2. Smettila di paragonarti agli altri

Il continuo paragone e confronto con gli altri ha, nella nostra evoluzione personale, un importante ruolo: riconoscendo le somiglianze e le differenze rispetto agli altri, noi ci facciamo un’idea sempre più precisa di noi stessi. La deduzione importantissima che ne consegue è che tu sei unico. E questo non apporta di per sé un valore positivo o negativo. È un dato di fatto.

Capisci quindi che è pericoloso basare la tua autostima sull’essere migliore di qualcuno in qualcosa (ovvero sul risultato, sulla performance)? Perché se è vero che a volte ci possiamo sforzare per fare alcune migliorie, altre volte non possiamo farci nulla! Quindi cederesti il controllo della tua vita ad un fattore esterno.

E se i risultati non arrivano, la tua autostima che fine fa?

Ma poi, quante energie e tempo sprechi nel tentativo di raggiungere un risultato che innalzi (magari temporaneamente) la tua autostima? Energie che sarebbero meglio direzionate nell’attuare i seguenti step per costruirti una solida, buona autostima non basata sulla performance.

3. Distogli l’attenzione dallo specchio e portala dentro di te

Lo specchio che riflette la nostra immagine è composto dalle risposte degli altri alla nostra presenza e ai nostri comportamenti: il ruolo principale lo detengono i genitori (o chi si è preso cura di noi durante l’infanzia), seguiti a ruota dai parenti stretti, dalle altre persone importanti nella nostra vita e poi dagli “altri” in generale.

Gli altri ci permettono di specchiarci

Quindi possiamo dire che impariamo a conoscerci grazie a ciò che vediamo negli occhi di chi ci guarda.

Queste persone ci hanno restituito un’immagine filtrata dalla loro esperienza personale, dai loro gusti, dalle loro opinioni, dai loro valori, dal loro carattere. Se fossero davvero specchi, potrebbero presentare tre caratteristiche potenzialmente letali per la nostra autostima:

  • La superficie dello specchio potrebbe non essere sufficientemente piana: gli altri ci restituiscono qualcosa che può distorcere la realtà.
  • Spesso la superficie dello specchio non sa di essere riflettente: molte persone non sanno che il modo in cui ci rispecchiano può avere influenze pesanti sulla nostra autostima. Chissà quante persone si comporterebbero diversamente se sapessero che quello che trasmettono ai figli tramite le loro reazioni è determinante per accrescerne l’autostima!
  • Purtroppo, a volte, la superficie in cui ci specchiamo può essere rotta: in questo caso non solo ci vediamo distorti, ma potremmo anche non avere una visuale completa. È il caso dei figli di genitori con severe problematiche di personalità, relazionali e psichiatriche, fra i quali la bassa autostima e un senso di Sè frammentario e non integrato sono molto diffusi.

Spesso per orientarci facciamo affidamento su sentimenti, emozioni e pensieri degli altri (i nostri “specchi”), comportandoci in modo da adeguarci alle loro aspettative, ma in questo modo inibiamo l’espressione della nostra personalità e il suo sviluppo. Per avere una sana autostima bisogna invece avere la consapevolezza dei propri sentimenti, delle proprie emozioni e dei propri pensieri. Comincia quindi a conoscere il tuo mondo interiore e a dargli importanza. Chiediti: ma io cosa provo in questa situazione? Cosa ne penso? Cosa mi piace davvero? E, soprattutto, rispondi sinceramente.

Per aumentare la tua autostima devi conoscerti intimamente.

4. Per migliorare la tua autostima, risolvi i tuoi conflitti

Quando senti di essere lontano da ciò che credi di volere e/o dover essere, il giudizio su di te vira verso il negativo. L’autostima quindi si abbassa e si crea dentro di te un conflitto che è fonte di emozioni negative.

Sentire di non essere chi pensiamo di voler essere ci fa sentire frustrati, depressi, delusi.

Sentire di non essere chi crediamo di dover essere ci fa sentire in ansia, in colpa, in imbarazzo, ci fa vergognare.

Per aumentare la tua autostima, risolvi i conflitti fra ciò che pensi di essere e ciò che vuoi/senti di dover essere.

Questo conflitto va risolto per consentirti di migliorare la tua autostima.

Per farlo, la maggior parte delle volte bisogna essere disposti a modificare la propria lista di valori, bisogni e obiettivi. Chiediti innanzitutto se ti appartengono davvero e da dove derivano!

È poi necessario diventare buoni genitori di se stessi: imparare ad accettarsi (anche nelle parti che ci piacciono di meno), non giudicarsi, perdonarsi, ascoltare le proprie emozioni e mettere in luce le proprie qualità positive e i valori che per noi sono importanti. Insomma, in poche parole, volersi bene e darsi il permesso di esistere per quello che si è.

Presta attenzione ad un possibile errore: accettarsi non significa necessariamente darsi la propria approvazione (“Bravo! Non potevo fare di meglio!”) oppure avvallarsi in modo passivo (“Continuo a fare questo perché non sono capace di fare altro”), ma vuol dire avere la consapevolezza di ciò che si è, di ciò che si può migliorare e di ciò che invece fa intimamente parte di noi e al massimo si può gestire o controllare.

5. Scegli con cura i tuoi specchi

Per permetterti di avere una autostima positiva è importante comprendere che l’immagine riflessa dallo specchio non è mai obiettiva, e che la strategia migliore da seguire è imparare a conoscerti profondamente, accoglierti e accettarti per come sei. Però le relazioni umane ed il confronto con gli altri fanno parte della quotidianità: quindi come puoi gestire i tuoi “specchi”?

Se non hai avuto la fortuna di avere dei genitori che ti hanno fatto sentire accolto per come sei, puoi intanto riconoscere e accettare che in passato ti sei guardato in uno specchio deformato o rotto. Puoi cercare di capire in che modo questo ha distorto la tua immagine, e questa consapevolezza ti sarà di grande aiuto. Ma il passato non si può cambiare.

Nel presente, invece, puoi decidere di scegliere e dare importanza a quegli specchi che ti rimandano un’immagine che ti fa sentire bene con te stesso. Sto parlando di quelle persone che ti fanno sentire accettato, delle quali percepisci la simpatia, il supporto ed il calore gratuiti. Attenzione alla clausola della gratuità: chi ti regala queste sensazioni non deve volere niente in cambio. In caso contrario rischi di cadere nella trappola di un manipolatore: una persona che ha il bisogno di controllare gli altri. Tu però vuoi mantenere saldamente il controllo della tua vita, per poter migliorare la tua autostima.

Per aumentare la tua autostima scegli di dare importanza alle persone che ti fanno sentire gratuitamente accettato.

FONTI

Higgins ET, Bargh JA. “Social cognition and social perception”. Annu Rev Psychol. 1987;38:369‐425. doi:10.1146/annurev.ps.38.020187.002101

L. Festinger. A Theory of Social Comparison Processes. 1954

C. Rogers. Client-Centered Therapy. 1951

M. Rosemberg. “Self Esteem Scale”. 1965

Pilar Mallor e Manuel Villegas. “El Narcisismo Y Sus Modalidades”. 2010

Mann M, Hosman CM, Schaalma HP, de Vries NK. “Self-esteem in a broad-spectrum approach for mental health promotion”. Health Educ Res. 2004;19(4):357‐372. doi:10.1093/her/cyg041

Autonomia materna nella gravidanza e nel parto

autonomia materna

Quando dovrai fare scelte riguardanti la gravidanza ed il parto, le farai a modo tuo?
Ecco una guida pratica per controllare o influenzare le decisioni che condizioneranno te e la tua famiglia.

Sta diventando sempre più evidente, anche grazie alla ricerca scientifica, che l’autonomia delle donne ha ampio impatto sul benessere e sulla salute della famiglia e della comunità. Infatti le donne che godono di una maggiore autonomia usano più facilmente la contraccezione, hanno famiglie più piccole, hanno meno gravidanze non pianificate, sono più propense a cercare assistenza sanitaria, sfruttano le cure prenatali disponibili, sono meno a rischio di disturbi depressivi e ansiosi. Questi sono tutti fattori che promuovono un maggior benessere sociale, economico e psicofisico.

L’autonomia è l’abilità di controllare o influenzare le scelte che condizionano la persona stessa e la sua famiglia. Questo significa avere un peso nelle decisioni che coinvolgono la famiglia, le finanze, le spese, il lavoro, le uscite sociali, la mobilità, l’assistenza sanitaria, la pianificazione delle nascite, la cura dei figli. È quindi evidente come una buona fetta dell’autonomia della donna che ha figli sia costituita dall’autonomia materna.

Le condizioni necessarie per l’autonomia materna

Nel nostro contesto socio-culturale attuale, quando sei incinta entri in contatto con una grande molteplicità di messaggi su come gestire una gravidanza (cosa mangiare, cosa bere, cosa evitare, quando e come allenarsi…) e hai a disposizione numerose opzioni per partorire (a casa tua, in una casa del parto, in ospedale, in vasca, tramite parto naturale, tramite cesareo…) e per crescere bene tuo figlio (basti pensare, ad esempio, alla possibilità di allattare al seno o con latte artificiale). Questo è indice del fatto che ci sono inevitabilmente diverse opinioni riguardo a quale sia la scelta migliore. Ogni gravidanza e ogni nascita sono esperienze individuali, estremamente personali: è impossibile generalizzare e dire a prescindere cosa dovresti fare. Puoi e devi scegliere tu.

Però, dire semplicemente “Lo faccio a modo mio!” è riduttivo, limitante e anche un po’infantile. Infatti, se da una parte è importante garantire il tuo diritto alla tua autonomia come persona, donna e madre, dall’altra bisogna porre alcune premesse molto importanti per non fare scelte di cui poi pentirsi.

Per poter esercitare la tua autonomia materna, quindi, è necessario che tu prenda decisioni impiegando il tuo controllo, la tua indipendenza e il tuo ragionamento etico essendo prima di tutto informata, libera e serena.

Essere informata

La maternità ti mette davanti a numerose scelte. A volte, specialmente se è la prima gravidanza, ti senti come una banderuola al vento, non sapendo quale sia la direzione giusta da imboccare. I parenti dicono una cosa, i medici un’altra, il partner una terza ancora, su internet si trova di tutto…ma tu, che alla fine sei l’attrice principale di questa decisione? Come puoi orientarti nel marasma di offerte proposte?

Le domande che ti devi fare

Cominciamo con tre domande generali, che gettano le basi per tutte le scelte che dovrai fare in futuro come madre:

  1. Ho compreso l’importanza di una maternità positiva?
  2. Dato che devo fare delle scelte sia per me che per il mio bambino, ho sviluppato la competenza materna?
  3. Ho sviluppato l’autostima materna, per essere davvero sicura di me e fondare le mie scelte su basi solide?

Riassumendo, se hai sviluppato la competenza materna e l’autostima materna sai di avere delle responsabilità per cui a volte ciò che vuoi è incompatibile con ciò che si può fare, pena una compromissione di quella sicurezza che è caratteristica di una maternità positiva. Tra sicurezza e scelta a volte vi sono dei conflitti. Questi conflitti però si possono conciliare se si ha a cuore l’interesse del bambino che verrà al mondo.

Proseguiamo poi con domande relative alla singola scelta che devi fare.

  1. Dove posso trovare le informazioni più valide? Per quanto sia una tua responsabilità personale, non è detto che prendere una decisione sia un compito da svolgere in solitudine. Anzi, cercare confronto con l’esterno è indice di equilibrio! L’importante è confrontarsi con chi è davvero esperto a 360 gradi. Cerca le informazioni che ti servono dai professionisti del settore (ginecologi, ostetriche), sentendo campane diverse e valutando chi ti ispira più fiducia in termini di competenza, affidabilità e aggiornamento. Se vuoi confrontare ciò che ti dice il professionista con gli ultimi aggiornamenti, basati su siti web istituzionali, come il sito del Ministero della Salute o della World Health Organization. Una volta trovati i professionisti di riferimento, lasciati guidare.
  2. Quali sono le opzioni tra cui scegliere? Fai un elenco scritto, per fissare le idee in maniera più chiara.
  3. Quali sono le conseguenze e i rischi di ogni singola scelta? Anche qui, per ogni opzione fai un elenco scritto dei pro e dei contro, in modo da poter comparare le possibilità con un colpo d’occhio.
  4. Posso avere a disposizione del supporto esterno per l’opzione che sceglierò? Ad esempio, se scegli di partorire in casa, hai la possibilità di avvalerti di un professionista valido che ti segua per garantire un parto sicuro?
  5. Se non voglio fare una cosa, ci sono alternative valide e sicure disponibili? Ad esempio, se scegli di non allattare al seno, puoi usufruire del latte artificiale per l’infanzia? È reperibile? Te lo puoi permettere? Infatti ripiegare sulle alternative, ovvero latti animali (di mucca, di capra) è controindicato e davvero rischioso per la salute del neonato, specialmente se non sono controllati: il bambino può andare incontro a carenze nutrizionali che compromettono lo sviluppo psicofisico del bambino, oppure incorrere in gravi tossinfezioni alimentari.

La libertà

Può sembrare scontato parlare di libertà nel mondo occidentale attuale, ma ci sono situazioni in cui questa è condizionata da rapporti interpersonali non equilibrati, di solito con il partner, con la famiglia d’origine o con la comunità in cui sei inserita.

In questi casi non puoi, o senti di non potere, influire sulle decisioni importanti per te stessa o per la tua famiglia, perché c’è il rischio di conseguenze anche pesanti: minacce o azioni ritorsive anche fisicamente, verbalmente o psicologicamente violente.

Se ti riconosci in questo profilo, sappi che non è una situazione che promuove il benessere. La libertà individuale è un diritto umano. Puoi cambiare questa tua posizione, perché la libertà è prima di tutto psicologica. Consultati con uno psicoterapeuta per favorire la tua transizione verso la libertà nel modo migliore possibile, in modo da poter vivere davvero la tua autonomia materna.

Violenza ostetrica

Ci sono situazioni in cui la libertà della donna viene violata dal personale sanitario: si parla in questo caso di violenza ostetrica. Per fortuna negli ultimi anni si sta dedicando a questo argomento un’attenzione sempre crescente, per cui gli operatori sanitari vi sono sempre più sensibilizzati e la situazione sta migliorando.

È però importante sapere che all’atto pratico del parto hai diritto a dare il tuo consenso informato sulle procedure che ti vengono proposte. Chi si prenderà cura di te avrà la premura di spiegarti il perché ti viene offerta una tale procedura e quali sono i rischi e le conseguenze correlati.

Ma se vuoi prepararti davvero al parto, informati prima sulle possibili opzioni e sui tuoi diritti, in modo da arrivare al travaglio serena e consapevole.

Per avere invece la fermezza, la sicurezza e la competenza necessarie per prevenire ed ammortizzare le eventuali conseguenze della violenza ostetrica, puoi prepararti al parto con uno psicoterapeuta preparato.

La serenità

Una mamma può prendere decisioni in autonomia se è serena.

Ti senti agitata, inquieta, turbata, scossa, spaventata? Se ti trovi in questo stato, non è un buon momento per prendere decisioni.

Cosa fare allora?

Fai una valutazione: riesci a ritrovare uno stato interiore più sereno entro breve (in fondo la crescita del pancione non si può mettere in pausa)? Se non ci riesci, rivolgiti prontamente ad uno psicoterapeuta, che può aiutarti a ritrovare la calma, la tranquillità, l’equilibrio che ti servono per poter prendere serenamente le tue decisioni in piena autonomia materna.

In particolare, se è il parto a preoccuparti e mandarti in crisi (se ne hai paura, se sei stata traumatizzata da un parto precedente, se l’incertezza ti blocca…), puoi considerare l’idea di prepararti al parto con un professionista della salute mentale che ti dia tutti gli strumenti necessari per trovare il tuo equilibrio interiore e vivere una maternità positiva.

FONTI

Carlson, Gwen J et al. “Associations between women’s autonomy and child nutritional status: a review of the literature.” Maternal & child nutrition vol. 11,4 (2015): 452-82. doi:10.1111/mcn.12113

Hirani SA, Olson J. “Concept Analysis of Maternal Autonomy in the Context of Breastfeeding”. J Nurs Scholarsh. 2016;48(3):276-284. doi:10.1111/jnu.12211

Obstetrics and Gynecology Risk Research Group, Kukla R, Kuppermann M, et al. “Finding autonomy in birth”. Bioethics. 2009;23(1):1-8. doi:10.1111/j.1467-8519.2008.00677.x

Fasouliotis SJ, Schenker JG. “Maternal-fetal conflict”. Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol. 2000;89(1):101-107. doi:10.1016/s0301-2115(99)00166-9

Madeleine Murphy, “Maternal autonomy” Published Online: 2 May 2016, British Journal of Midwifery Vol. 24, No. 5 https://doi.org/10.12968/bjom.2016.24.5.371

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